Bologna, il Pd rischia di esplodere. Veleni tra i big, altolà da Roma

Tessere gonfiate, l'ombra del commissariamento. Battaglia sulle coop

Da sinistra, Luca Rizzo Nervo, Francesco Critelli, Stefano Bonaccini e Virginio Merola

Da sinistra, Luca Rizzo Nervo, Francesco Critelli, Stefano Bonaccini e Virginio Merola

Bologna, 11 ottobre 2017 - C’è una parola, sepolta fino a poche ore fa come una mina, che rimbomba nelle stanze di via Rivani, a Bologna, nella periferia operosa sede della più importante federazione ex comunista e ora pd d’Italia: commissariamento. Per ora, però, il Nazareno non ci pensa e non invierà nessuno a gestire anche informalmente la situazione, nonostante la vicenda sia già sul tavolo del responsabile dell’organizzazione Andrea Rossi.

Un ‘bignami’: veleni e polemiche a partire dal numero di iscritti; scontri tra il mondo politico e quello cooperativo; insinuazioni razziste; il sindaco Virginio Merola che ha definito «idiozie» le proposte del segretario uscente (ricandidato) Francesco Critelli e ha poi affondato il coltello denunciando «tessere strane» e «truppe del sud»: lo spettacolino non è di certo edificante e i dirigenti romani, abituati alla terra della svolta dove le epurazioni si facevano in segreto, sperano che la vicenda emiliana si risolva con l’arrivo delle prime nebbie. La Bologna e il Pd di oggi sono cambiati, però, e a Lorenzo Guerini, coordinatore del partito, non resta che tuonare, in un colloquio con il Resto del Carlino, un secco «Basta polemiche». Nessuno l’ha ascoltato.

Domani si inizia a votare per il congresso democratico e nella provincia da 16mila iscritti la discussione non è più in politichese: i renziani che afferiscono allo sfidante di Critelli, l’assessore dimissionario Luca Rizzo Nervo legato al sindaco Virginio Merola, parlano apertamente di nuove tessere sospette, aumenti (superiori alle mille unità) misteriosi, circoli con un boom di iscritti – e questa sarebbe già una notizia, vista l’asfittica situazione della politica italiana – di cui i segretari non sanno però nulla, denunciando addirittura la situazione di nuovi sostenitori che hanno il domicilio in aree di cantiere o famiglie intere schierate all’improvviso come truppe cammellate.

Situazioni tutte smentite caso per caso dal responsabile bolognese dell’organizzazione, Alberto Aitini, ma che portano a una pioggia di ricorsi che stanno intasando la commissione di garanzia piddì. Ieri superlavoro: i primi esiti sono stati negativi per i renziani. 

È su queste basi che circola l’ipotesi commissariamento, parola che tutti temono o invocano in segreto e che nessuno, apertamente, pronuncia. È su queste basi che si conferma la disgregazione del tessuto connettivo coop rosse-Pd. D’altronde questa è la terra che, con l’inchiesta giudiziaria sul Comune di San Lazzaro (il sindaco Isabella Conti denunciò pressioni per una vicenda urbanistica che riguardava coop e costruttori, furono indagati e poi archiviati amministratori, imprenditori e cooperatori) ha aperto una ferita che mai si è rimarginata nel centrosinistra e questo congresso pare proprio la resa dei conti politica di quel caso giudiziario.

Non è un caso che la discussione sia stata finora ridotta, anche in maniera brutale, al «con o contro le coop», come se poi le coop rosse fossero un bacino di voti scontato per i dem. Il segretario Critelli, che ha fra gli alleati proprio Conti, ha proposto due anni di stop nel passaggio da un incarico amministrativo a uno nel mondo economico. Merola ha risposto parlando di «idiozie», il segretario regionale Paolo Calvano è intervenuto chiedendo al sindaco di «lavorare per l’unità». Il resto sono insulti da social, al limite della querela. Roba che la svolta della Bolognina, che sancì proprio a Bologna la fine del comunismo, appare questione da educande.

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