Borgonzoni e Bernini, derby rosa per il Senato

Le due parlamentari bolognesi in lizza per la seconda carica dello Stato. Oggi vertice decisivo del centrodestra a Palazzo Grazioli

Lucia Borgonzoni e Anna Maria Bernini

Lucia Borgonzoni e Anna Maria Bernini

Bologna, 21 marzo 2018 – C’è un inaspettato derby rosa tutto bolognese in corso a Roma per l’elezione alla guida del Senato. Nel totopresidente, infatti, nelle ultime ore sono salite vertiginosamente le quotazioni di due donne, entrambe cresciute politicamente sotto le Due Torri, anche se totalmente diverse per storia e stile: da un lato Anna Maria Bernini, fedelissima di Silvio Berlusconi e da un decennio nome di punta di Forza Italia in Emilia-Romagna, dall’altro Lucia Borgonzoni, pretoriana di Matteo Salvini e appena sbarcata a Roma, forte del complicato ballottaggio a cui costrinse il sindaco Merola nel 2016.

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Il risiko che le vede protagoniste, è giusto ricordarlo, è ancora ricco di incognite, dato che a Roma gli incontri si susseguono uno dopo l’altro. Molto di più se ne saprà oggi, visto che è in programma a Palazzo Grazioli un vertice risolutivo tra Berlusconi, Salvini e Giorgia Meloni, che dirà molto sulla tenuta della coalizione. Ma con Luigi Di Maio che ha ripetutamente rivendicato la presidenza della Camera per i Cinque Stelle, è evidente che il Senato spetterà a un esponente del centrodestra.

Ed è in questa ottica che sono spuntati i nomi delle due bolognesi. Se Salvini volesse rinforzare l’alleanza con il cavaliere, allora potrebbe decidere di lasciare la presidenza del Senato a Forza Italia. La prima scelta degli azzurri resta Paolo Romani, altro fedelissimo di Berlusconi, che però ha in curriculum anche una condanna per peculato, sulla quale il M5s ha messo un veto esplicito. Dunque, la Bernini rappresenterebbe un’ottima mediazione: è già stata ministro per le Politiche Europee nel 2011 e nella scorsa legislatura è stata Vice Presidente Vicaria del gruppo degli azzurri, vantando una lunga esperienza parlamentare riconosciuta da tutti. Insomma, una candidatura di garanzia e competenza, adatta a un profilo fondamentale dal punto di vista istituzionale come quello della seconda carica dello Stato.

Il nome della Borgonzoni, invece, nasce da un ragionamento completamente opposto. Di rottura, in tutti i sensi. Della coalizione di centrodestra, nel caso Salvini volesse lanciare una mano tesa ai Cinque Stelle e chiedere i loro voti per eleggere un presidente leghista. Ma anche della tradizione, perché la Borgonzoni rappresenterebbe un volto completamente nuovo, senza nessuna esperienza parlamentare e in linea con il forte cambiamento antisistema indicato dal voto del 4 marzo.

In fondo un precedente simile c’è già, sempre di marca leghista: quello del 1994, quando alla guida della Camera fu eletta la quasi debuttante Irene Pivetti, uno choc per la politica dell’epoca. Anche la Borgonzoni non sarebbe la prima della lista, ma se dovesse centrare il bersaglio grosso, riuscirebbe in un’impresa con pochi precedenti, considerato che solo pochi anni fa era solo una consigliera provinciale di un partito moribondo nella città rossa per eccellenza. E guardandosi indietro, già essere nella rosa dei favoriti è un risultato sensazionale.

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