Bologna, 4 giugno 2013 - LA MUSICA in Gimat è cominciata nel 1975, quando un ingegnere di Ozzano, Giorgio Magri, stanco di occuparsi di cantieri, ebbe voglia di sporcarsi le mani. E se il settore di riferimento (i sistemi di trasporto, dosaggio e miscelazione di polveri), è piuttosto impalpabile, molto facile in realtà riconoscere il loro zampino nelle nostre case: basta avere un disco in vinile, un’imposta in pvc o semplicemente riciclare la plastica.

Claudio e Marco Magri, la vostra è la seconda generazione: quando siete entrati in azienda?
«Anche noi siamo ingegneri, e da tempo nostro padre ci spingeva a un passaggio di consegne. Io (Claudio, ndr) ho preferito prima lavorare per altri. Volevo mettermi in gioco, capire come si sta in un’azienda. Sono qui dal 2001, mio fratello dal 2007».

Più o meno in quegli anni il mercato discografico spariva del tutto. Voi come avete reagito?
«La nostra fortuna è sempre stata avere un prodotto del tutto particolare e non legato a un mercato specifico. Noi non produciamo beni di consumo, facciamo macchine di supporto alle macchine che producono. Ci basta guardarci attorno e osservare chi ha a che fare con materie prime in polvere».

Difficile immaginarlo per noi: chi sono i vostri clienti?
«Subito dopo i dischi, negli anni ’90 sono arrivate le bottiglie d’acqua, perlomeno fino a quando erano prodotte in pvc. Al nostro arrivo i clienti erano principalmente produttori di tubi, profili per infissi e simili».

Con voi è arrivata anche la crisi. Come avete reagito?
«Oggi molto si fa con il riciclo della plastica. Noi, in più, ci siamo messi in gioco con l’alimentare: produciamo macchinari che miscelano alimenti in polvere, ad esempio i misti per il condimento delle carni».

Un bel salto.
«Infatti ci sono voluti 7 anni».

E vostro padre?
«Continua a darci una mano, insieme a nostra madre. Rimaniamo un’azienda a impostazione familiare».

Che numeri avete oggi?
«Oltre a noi membri della famiglia in Gimat lavorano 11 persone. Tutti insieme generiamo un fatturato annuo di più di un milione di euro, in crescita anche nel 2012, e con il 45% del fatturato proveniente dal mercato estero».

Qual è la ricetta di famiglia?
«La nostra condanna, non avere un mercato di riferimento, è sempre stata anche la nostra forza. Viceversa saremmo morti vent’anni fa, insieme ai vinili. Con il crollo dell’edilizia, l’apertura all’alimentare ci ha permesso di continuare a crescere anche in tempi di crisi».

E domani?
«Il mercato farmaceutico sarà una bella sfida. Presto o tardi l’accetteremo».

Su cosa sentite di poter migliorare?
«Quando avremo una nostra rete di venditori diretti, anche all’estero, dove oggi andiamo grazie a nostri clienti e rivenditori, sarebbe un bel salto. Il problema per noi è l’assistenza diretta ai prodotti. Ma stiamo lavorando per superare anche questo gap. Chi si ferma è perduto. Ma è difficile tener ferma la fantasia di tre ingegneri».

Simone Arminio