Bologna, 28 dicembre 2013 -  B come Bologna. «Se si deve azzardare un paragone, direi con il mio Jazz Band del 1978. Ma Un matrimonio è anche un grande omaggio alla mia città, una città che abbiamo ricostruito ma che molti riconosceranno credo anche con un margine di riconoscenza. Piccole e grandi storie: la grande nevicata degli anni Sessanta, il processo Giuffré, la strage alla stazione, il Settantasette, le centraliniste della Timo. Una storia di una città ma anche dell’Italia dal 1948 al 2005 vista attraverso due famiglie socialmente molto diverse laddove le differenze erano più marcate anche dal punto di vista ideologico. Gli uni — i miei nonni paterni — monarchici, gli altri socialisti e comunisti. E con la possibilità — che il cinema non dà — di realizzare un racconto sterminato, con più spazio per indagare anche i personaggi collaterali, creando un vero albero genealogico».

M come matrimonio. «E’ il tema centrale. Il primo ha origine a Sasso Marconi, sul greto del fiume Reno, dove una ragazza di umili origini (mia madre, Micaela Ramazzotti nel film) vede dall’altra parte del fiume un ragazzo della Bologna bene (che diventerà mio padre, interpretato da Flavio Parenti) che oltre a essere affascinantissimo possiede un elemento di grande seduzione: un giradischi portatile che suona un 78 giri di Nat King Cole: Sweet Lorraine. E mia madre, lì con le amiche Pierina Cappelli e Giulietta Rizzi, viene attratta da questa canzone americana e da questo ragazzo, si invaghisce e decide che quello sarà l’uomo della sua vita. Un’elegia? Forse, ma racconto anche gli aspetti meno edificanti perché in un matrimonio succede di tutto: adulteri, separazioni, figli che creano problemi, però malgrado tutto il matrimonio tiene. Questi due rimangono assieme e questo rende il racconto provocatorio rispetto al concetto che si ha oggi di matrimonio».

T come tavola. «I matrimoni sono indissolubilmente legati ai pranzi e nelle sei puntate ci sono almeno una decina di riunioni conviviali divise per una mezza dozzina di matrimoni diversificati — povero e ricco, campagna e città... — con molta attenzione nei riguardi dei menù: perché l’aspetto gastronomico nella storia della mia famiglia ha avuto un suo ruolo predominante. C’è anche una sequenza dedicata al ‘ragù alla maniera dei Dagnini’, con la nonna che in eredità lascia alla figlia la ricetta segreta...».

N come nostalgia. «Per quello che mi riguarda è anche la nostalgia del presente. Non importa tornare indietro con la memoria per ritrovare momenti felici, basta andare all’altroieri quando nella mia casa di Todi, per il Natale, ci siamo ritrovati in 32 a tavola: tutta la mia famiglia, i figli e i figli dei figli. Mentre mangiavo incameravo e sedimentavo dentro di me quel momento presente ma destinato a passare velocemente. Suggerisco a tutti cercare di fissare bene nei dettagli i momenti di gioia della nostra vita perché sono così fuggevoli, immagini che si dissolvono rapidamente. Bisogna memorizzarli subito, come si fa nel computer schiacciando il tasto ‘salva’».

F come funerali. «Una delle protagoniste è Katia Ricciarelli ovvero la zia Amabile che gestiva il bar di Sasso e vestiva i morti nelle case.Nella cultura contadina la morte è molto presente, non è esorcizzata come oggi. E io sono cresciuto in quella storia. Ho girato il bellissimo spegnersi di mio nonno materno, operaio all’Arsenale, che voleva essere il primo tra i suoi colleghi ad aver letto tutti I promessi sposi. Ce la farà in extremis...».

A come attori. «C’è un cast sterminato e tanti sono i bolognesi: Andrea Roncato, Valeria Fabrizi, Bob Messini, Andrea Santonastaso, Gisella Sofio. E poi i protagonisti, naturalmente, tra i quali Christian De Sica. Qui penso che De Sica abbia trovato la dimensione reale di una seconda carriera destinata a decollare. Il pubblico si renderà conto di quanto sia totalmente diverso dal De Sica dei cinepanettoni: i due non sono neanche parenti lontani, se si incontrano neanche si salutano».

S come strade. «Vie nobili e vicoli. Se da una parte c’è il meraviglioso appartamento di via Castiglione dei nonni ricchi, dall’altra c’è via Francesco Acri dove abita il nonno operaio Sisto Osti. E poi c’è il Pavaglione dove è avvenuto tutto e che anche nella mia mitologia personale è il luogo degli incontri. Lì avviene l’incontro decisivo tra i miei genitori, lì ho visto per la prima volta la ragazza che sarebbbe diventata mia moglie e lo è da 49 anni: era accompagnata dal conte Zucchini e io mi innamorai subito forse proprio perché era fidanzata con un conte...».

R come realtà. «La storia della mia famiglia è proprio andata così come la racconto nel film? Diciamo di sì, ma io sono un gran bugiardo... e posso confessarlo perché sono sincero».

di Andrea Maioli