Coliandro 7, via alle riprese a Bologna dal 26 marzo

Giampaolo Morelli avrà a che fare con il liscio, ma anche con un serial killer e la yakuza

Coliandro torna per la strade di Bologna (foto Schicchi)

Coliandro torna per la strade di Bologna (foto Schicchi)

Bologna, 9 marzo 2017 - Coliandro il magnifico torna a Bologna dal 26 marzo per la serie numero 7. E che farà stavolta?

"Collaborerà con un ex yakuza – risponde Marco Manetti, la metà esatta della premiata ditta Manetti Bros. – , entrerà nel mondo del liscio, sarà preda in una caccia all’uomo, si ritroverà alle prese con uno strano serial killer".

Coliandro, notte e giorno in giro per Bologna

Settima serie: una longevità impressionante. Vi batte solo Don Matteo. "Non solo, in tanti ci battono".

Come si fa a mantenere alto il grado di freschezza dopo tanti episodi? "Sentiamo sempre il fiato della paura sul collo: la paura di ripeterci. Ci difendiamo con la fantasia e il divertimento".

Anche Bologna l’avete arata in tanti modi e in tanti luoghi. Difficile trovare locations inedite? "Siamo come esploratori di questa città. Non seguiamo un metodo, ci piace raccontare i luoghi che diventano ‘protagonisti’ nelle varie puntate. Passiamo dei mesi prima delle riprese a investigare i territori in base alla sceneggiature: parli del mondo dei giapponesi che vivono a Bologna e ti informi con realismo e cognizione su quell’universo. Ovvio che Bologna non è Roma, le dimensioni sono più ridotte e ogni volta temiamo di aver raschiato il fondo del barile, invece... Peraltro io ho una figlia che studia Scienze politiche qui all’Università quindi il mio rapporto con Bologna è molto intenso: a volte la sfido a riconoscere certi angoli insoliti di Bologna che abbiamo inquadrato".

Con “Ammore e malavita” siete anche stati sdoganati da Venezia e dalla critica... "Sdoganati... il cinema libero necessita di sdoganamenti: Venezia a parte, il nostro film è tra i più nominati ai David: 15 candidature! Se avessimo sentito la necessità di sentirci sdoganati, non avremmo fatto questo percorso e queste scelte. Quindi questa cosa ci rende felici ma non ci cambierà la vita: proseguiamo come abbiamo sempre fatto".

Spesso i registi incolpano qualcuno, come gli allenatori quando perdono una partita... "Non abbiamo nessuna voglia di recriminare stile ‘non ci hanno riconosciuti abbastanza, siamo stati sottovalutati’ e via dicendo: facciamo quello che ci piace fare ma sapendo che comporterà sempre dei limiti. Se ti adegui al gusto del pubblico avrai più budget, se ti adegui alla critica ufficiale più seguito. E noi andiamo avanti sereni per la nostra strada".

Si dice Manetti e si pronuncia cinema di genere... "Diciamo una volta per tutte la verità: noi non pensiamo di fare cinema di genere, è un’etichetta che ci viene appiccicata. Amiamo le storie che ci piacciono e non ci preoccupiamo del genere a cui appartengono. È un piccolo equivoco forse perché per un certo periodo abbiamo collaborato con il programma di Marco Giusti Stracult: facevamo degli omaggi ma non era una cosa nostra. Secondo punto: il cinema italiano è un cinema fossilizzato nei generi e molti registi fanno sempre lo stesso genere: il loro. Noi invece passiamo proprio da un genere all’altro. Siamo noi il nostro ‘genere’".

Chissà quanti copioni vi avranno proposto dicendo ‘questo è un film alla Manetti’... "Che dicevano loro ‘alla Manetti’ e noi rispondevamo ‘non ci piace’".

Ma il personaggio Coliandro vi è esploso tra le mani o immaginavate che sarebbe diventato così ‘stracult’? "Ha avuto una crescita costante e progressiva. Sì, però poi la parte culto ha assunto delle caratteristiche abbastanza sorprendenti. Quando la gente per strada ferma Giampaolo Morelli e gli cita delle battute della serie molto specifiche, di nicchia... allora sì capiamo come questo personaggio sia veramente diventato stracult".

A furor di popolo

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