David di Donatello, premiato il bolognese Gian Filippo Corticelli

Ha vinto la statuetta del cinema italiano perla fotografia di ‘Napoli velata’. “Non sono abituato a ricevere riconoscimenti, ero proprio tranquillo”

Gian Filippo Corticelli riceve il premio da Carlo Conti in diretta televisiva

Gian Filippo Corticelli riceve il premio da Carlo Conti in diretta televisiva

Bologna, 23 marzo 2018 – Non se lo aspettava. E da lavoratore, il giorno dopo è già su set di un nuovo film – quello sulla vita di Ferruccio Lamborghini girato a Cento – a fare un sopralluogo. Gian Filippo Corticelli, che si è aggiudicato mercoledì sera il David di Donatello per la miglior fotografia nel film Napoli velata di Ferzan Özpetek, è contento e sorpreso. Non era la prima candidatura, che fu invece nel 2003, sempre con Özpetek, per La finestra di fronte. Bolognese di nascita, ormai romano da 15 anni, la gavetta l’ha fatta in città negli anni d’oro dei videoclip, soprattutto con Ambrogio Lo Giudice.

Corticelli, la sua non è una prima candidatura ai David, è la quarta, ed è andata diversamente. «Non sono abituato a ricevere premi. Ma del resto, quando si tratta di premi tecnici è è difficile fare previsioni, perché corrono dietro al film. In questo caso ero proprio tranquillo».

E invece il film è stato premiato proprio per il lavoro visuale, lei come miglior autore della fotografia e Ivana Gargiulo e Deniz Gokturk Kobanbay per la scenografia. «Con Gokturk Kobanbay avevo già lavorato a Rosso Instanbul e al remake turco di Perfetti sconosciuti. Per me, l’ho anche detto mercoledì sera quando ho ricevuto la statuetta, lavorare a stretto contatto con chi si occupa dell’immagine di un film è fondamentale».

Qual è il suo metodo di lavoro nei film? L’ha spiegato bene quando è venuto lo scorso dicembre per tenere la masterclass a DocUnder30. «Il lavoro inizia da quando mi danno la sceneggiatura, che propone l’idea di base. Poi c’è il contatto col regista e poi possono esserci una foto o un quadro, ad esempio, che determinano un look».

In ‘Napoli velata’ qual è stato il punto di partenza estetico? «L’uso di lenti anamorfiche con sfocatura particolare, per raccontare il realismo magico, l’instabilità psichica. Le lenti davano una visione di incertezza, che era alla base. Poi, essendo un mistery, abbiamo giocato sui chiaroscuri, sulla penombra, sul vedo-non vedo. Dovevamo raccontare una Napoli barocca».

Un passo indietro, alle sue origini: qual è stata la Bologna che l’ha iniziata al cinema? «Quella di fine anni Ottanta, quando era la terra dei videoclip. Ne ho girati tanti con Ambrogio Lo Giudice e quando sono arrivato a Roma, l’ho potuto fare da aspirante direttore della fotografia».

Nel suo curriculum videoclip bolognese c’è anche ‘Serenata rap’ per Jovanotti, era il 1994. Era reale la scena di lui e la sua band sospesi per aria sull’asse? «Bello parlare di questo dopo tanti anni, perché non è mai stato del tutto svelato che quel video girato al Pilastro era tutto vero. Loro erano sospesi all’altezza del settimo piano e ricordo bene che il tastierista si rifiutò di salire, anche se tutti erano in sicurezza, tenuti da una corda dietro alla schiena».

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