Emilio Solfrizzi: "Oggi vedo ancora di più Argante"

L’attore presenta ‘Il malato immaginario’ di Molière domani al Duse di Bologna: "Con la pandemia in tanti rinunciano a momenti di socialità per paura"

Emilio Solfrizzi, 59 anni, è in scena da domani a domenica al teatro di via Cartoleria

Emilio Solfrizzi, 59 anni, è in scena da domani a domenica al teatro di via Cartoleria

Bologna, 13 gennaio 2022 - In scena c’è una torre altissima. Una torre che è anche una libreria e che all’interno nasconde una serie di gradini. Ma attenzione: negli scaffali non sono ospitati libri, ma medicine, e quella scala a chiocciola non allude ad altro che alla follia. È in questa prigione immaginaria che si muove l’Argante di Emilio Solfrizzi, un uomo che si serve della malattia per non affrontare le insidie della vita. Arriva da domani a domenica al Duse Il malato immaginario , l’ultimo testo scritto da Molière (che morì, guarda caso, in scena durante una replica) adattato e diretto da Guglielmo Ferro con Solfrizzi protagonista di un nutrito cast. "Il malato immaginario ha più paura di vivere che di morire", scrive il regista per ribadire la contemporaneità di un personaggio tradizionalmente vittima di intrighi familiari, medici scrocconi e fantasmi della mente.  

Solfrizzi, la sua età non è esattamente quella dell’Argante a cui noi siamo abituati... "È vero, questo è un ruolo che in genere affrontano attori un po’ in là con gli anni. La scelta di un Argante che abbia ancora una certa prestanza fisica induce però a pensare a quanto quei malanni siano finti e a come quest’uomo sia in fondo in fuga dalla vita proprio per preservarla. S’aggrappa all’esistenza non vivendola. Non abbiamo compiuto nessuna modernizzazione: i costumi sono d’epoca, i caratteri grotteschi intatti, l’autenticità del testo assoluta". Cosa significa recitare un simile copione al tempo dei contagi? "Vien da chiedersi quanti Argante abbia prodotto la pandemia, quanta gente continui a rinunciare al cinema, al teatro e alla socialità per timore, richiudendosi nella propria torre. La paura sociale si paga, oltre che umanamente, anche economicamente con la decrescita dei consumi culturali". Quest’anno si celebrano i 400 anni della nascita di Molière. Il suo spettacolo è anche un omaggio a questa ricorrenza? "È un autore che amo e che ho temuto a lungo. Solo poco tempo fa mi sono deciso ad affrontare Il borghese gentiluomo e ho scoperto che la sua drammaturgia mi si confà appieno. Tutta la comicità contemporanea discende da lui, ci sono risvolti davvero insospettabili". Ha detto di essere particolarmente legato a Bologna perché è la città dove si è laureato. Che ricordo ne ha? "Straordinario. Mantengo ancora il libretto universitario perché lì ci sono firme di professori che per me valgono quanto quelle dei Rolling Stones: Celati, Squarzina, Meldolesi, Ruffini... Era metà degli anni ‘80 ed ho il ricordo di una città invasa dagli universitari, soprattutto del Sud, capace di solidarietà e condivisione". Agli inizi ha lavorato con Gennaro Nunziante, il regista di Checco Zalone e Pio e Amedeo? "Erano i tempi di Toti e Tata. Eravamo un trio inseparabile: lui, autore e regista, Antonio Stornaiolo ed io, attori. Eravamo amici d’infanzia e lavorare in Puglia allora non era semplice: la regione non era ancora un brand e l’Italia sembrava più lunga di adesso. Avremmo potuto avere più successo se come formazione fossimo nati 10 anni dopo. Io poi mi sono trasferito a Roma e i nostri percorsi si sono divisi". Quali progetti l’aspettano? "In questa situazione resta tutto vago. Dovrebbe uscire un nuovo film, ci sono proposte televisive ma... Per me è normale lavorare in ambiti tanto diversi e affrontare indifferentemente ruoli brillanti o drammatici. In Italia fino a qualche tempo fa non era così scontato mentre, ad esempio, in Inghilterra è sempre stato ovvio che un attore dovesse saper fare tutto".  

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