Gianni Morandi, il figlio Pietro al debutto. "Il mio idolo è 50 Cent e non amo i social"

Il rapper dal vivo con 'Assurdo': Forlì, Firenze, Milano poi Bologna e Mantova

Pietro Morandi, in arte Tredici Pietro, figlio di Gianni Morandi e Anna Dan

Pietro Morandi, in arte Tredici Pietro, figlio di Gianni Morandi e Anna Dan

Bologna, 12 ottobre 2019 - Rap, non trap. Tredici Pietro scarta di lato il mondo delle “tipe”, degli “ehy ehy, yo yo”, dei Rolex e delle Maserati che impregnano la mitologia trap per raccontarsi così come gli suggeriscono i suoi 22 anni. Se non è stato asfaltato dal cognome che porta all’anagrafe lo deve alla credibilità che, pian piano, si sta costruendo senza nascondere di essere il figlio di Gianni  Morandi e di Anna Dan, ma tenendosi alla larga da quel mondo d’amore che ne fa il ragazzo fortunato dell’hip-hop italiano.

Gianni Morandi, 74 anni, e il figlio Pietro, 22
Gianni Morandi, 74 anni, e il figlio Pietro, 22

E cosa c’è nel rap di “assurdo”? «Qualche tecnicismo, ma trovo cose molto più assurde in ambiti diversi dal rap».  

Mica vorrà dire che il giubbotto antiproiettile con cui andava in scena 50 Cent è tanto sensato? «Ormai è normale, non colpisce. Molti rapper lo usano, anche se solo per moda. Se devo pensare a un personaggio veramente assurdo, mi viene in mente Achille Lauro che non porterà il corsetto antiproiettile, ma ha un immaginario estremo, glam, molto interessante».  

C’è una bella differenza fra lo scoprire la musica e il crescerci in mezzo come capitato a lei. «Sicuramente la circostanza avvantaggia, perché offre molte possibilità di ragionamento, di confronto, di riuscita. Contro ci sono gli improponibili paragoni familiari, che però non mancano mai».  

Il primo pezzo forte di suo padre è stata una canzone di Claudio Villa, “Romanina del Bajon”. E il suo? «Sicuramente qualcosa di 50 Cent, tipo Candy shop; dopo averlo scoperto in tv, lo rappavo da mattina a sera”.  

Prima esperienza “proibita” a 15 anni: deluso? «Sì, le canne non fanno per me. Nelle rime mi lascio molto guidare da flussi di coscienza e di pensieri. Non parlo di droga, di griffe, di soldi: penso di essere un rapper noioso».  

Parliamo dei social, mezzo molto usato da tutta la sua famiglia. «Quanto a social in famiglia io sono il giovane che fa la parte del vecchio. Li uso molto meno di mio padre, che a momenti li preferisce alla musica. Gli ho detto di passare da Facebook a Instagram e l’ha fatto, però non ha ancora capito bene la differenza. Ma non fa niente, perché tanto rimane un mito lo stesso. Io, invce, non sono molto presente perché penso che la rete non possa diventare una malattia».  

Ma quando nel video ha visto papà cantare con Rovazzi e la mamma ostaggio di Saluta Andonio e di Genny Savastano di “Gomorra”. Non ha pensato: qui sono tutti impazziti? «No, no. È stato divertente, dai».  

Papà s’inventò un musical su Jacopone da Todi. A lei piacerebbe farne uno rap alla “Hamilton”, oggi uno dei più celebrati show di Broadway? «Sarebbe bello. Mi piacerebbe costruire in chiave rap un musical su un’opera classica come Il barbiere di Siviglia. Già m’immagino una “Fate largo al factotum” in quella forma».  

Tre realtà dell’urban italiano che stima. «Madame, perché è donna e nel disco condivide con me Farabutto, i romani Gli Psicologi, e Tedua, che è molto bravo».  

Come si vede tra dieci anni? «Spero di fare ancora musica, magari un po’ più morbida e adulta di quella di oggi. Qualcosa di indie… alla Coez».  

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