Giorgio Panariello "La mia carriera inizia da Zero"

Il comico toscano stasera all’Europauditorium di Bologna. Ne ’La favola mia’ racconta trent’anni di vita

Panariello, nello spettacolo di questa sera, ricorderà anche il fratello Franco

Panariello, nello spettacolo di questa sera, ricorderà anche il fratello Franco

Sorcini si nasce. Panariello assicura che, da quando ha iniziato a imitarlo, non s’è più liberato di Renato Zero… ma neppure Renato Zero di lui. E uno spettacolo come quel "La favola mia" in scena stasera all’Europauditorium, porta espressa già nel titolo la voglia di raccontare l’uomo nascosto dietro la maschera. "Questo spettacolo ha avuto una vita prima e una dopo il lockdown" dice il comico toscano, 62 anni. "All’inizio, infatti, l’avevo concepito come una celebrazione dei miei sessant’anni d’età, dei trenta di carriera, ma poi…".

Cos’è successo?

"Mettendomi a tu per tu con me stesso, l’isolamento m’ha fatto capire che la cosa migliore da fare era rinunciare a costumi, lustrini, paillettes per raccontarmi semplicemente".

Cosa l’ha convinta?

"Lo scorso anno, lavorando al libro su mio fratello, mi sono reso conto che ogni periodo della mia vita è stato segnato dagli incontri con personaggi capaci in un modo o nell’altro di segnarmela. Gente come Zero, ma anche come il campanaro di quando facevo il chierichetto".

Potendo cambiare qualcosa, cosa aggiungerebbe?

"Vorrei avere più tempo per cavalcare l’attualità e caratterizzare meglio i personaggi. Vorrei essere Fregoli o Arturo Brachetti, anche solo per impersonare Briatore-Naomo che parla della sua pizza". -

Ne "La favola mia" racconta più Giorgio che Panariello, tant’è che il finale scava nel rapporto con suo fratello Franco così come fa in "Io sono mio fratello".

"Racconto il senso di colpa nei confronti di Franchino perché a me nella vita è andato quasi tutto bene e a lui tutto male. Grazie al fatto di essere venuto al mondo un anno prima di Franco ho avuto la sorte di essere adottato dai nonni, mentre lui è finito in collegio. Fosse accaduto il contrario, probabilmente nei suoi panni mi ci sarei trovato io".

Insomma, un volume terapeutico.

"Sì. Ho iniziato a raccontare questa storia con l’intenzione di farne un monologo, poi ho pensato di trasformare tutto in un libro. Anche per mettere in chiaro che Franco non se n’è andato per overdose, ma per altro, visto la sua battaglia con la droga l’aveva vinta".

Di solito spettacoli di questo tipo servono ai comici per testare personaggi e storie da riproporre poi in tv. È pure il suo caso?

"Se lo spettacolo funziona o no, lo capisci già alla terza data. Le repliche servono a tenersi in esercizio e a farsi venire nuove idee per aggiornarlo in attesa dell’appuntamento televisivo".

Solo che adesso…

"Visto il cambio di equilibri politici non so chi deciderà in Rai i miei destini. Anche se oggi non esiste solo la tv: ci sono le piattaforme ad allargare il campo delle possibilità".

S’è mai chiesto fino a quando andrà avanti?

"Sono convinto che morirò in teatro, come Molière. Dicendo ‘buonanotte, sipario!’ proprio mentre esalo l’ultimo respiro".