Luca Carboni, il nuovo album 'Sputnik' vola alto e cita Bowie

L'ultimo lavoro uscirà venerdì prossimo e il cantautore è sicuro: "Il Duca Bianco mi appartiene"

Luca Carboni (Foto Saetti)

Luca Carboni (Foto Saetti)

Bologna, 4 giugno 2018 - "Da poechali!" Ovvero "Su, partiamo!" L’impazienza di Jurij Gagarin sulla rampa di lancio di Baikonur era, forse, la stessa che anima Luca Carboni alla vigilia della pubblicazione di “Sputnik”, il nuovo album nei negozi da venerdì prossimo. In una domenica quasi estiva, la sua Vostok atterra tra i tavoli di “Da Vito”, la trattoria in cui nell’81 è cominciato tutto. "Lucio e gli Stadio stavano cenando di là, in cucina, ragionando sulla necessità di trovare un paroliere perché i testi del loro primo album non avrebbero potuto scriverli tutti lui o Baldazzi" ricorda il cosmonauta bolognese, che in questo suo disco trova la complicità di amici come Calcutta, Federica Camba, Gazelle, Dario Faini e la produzione di Michele Canova.

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"Entrai con una busta piena di liriche e la consegnai a Vito, il titolare, pregandolo di allungarla a Dalla nell’altra stanza, poi mi appostai fuori dalla finestra. Vidi Lucio strappare l’involucro, leggere i foglietti, passarli compiaciuto ai ragazzi del gruppo; ad un certo punto s’alzò di scatto e si diresse verso il telefono con in mano il numero che avevo appuntato sulla busta. All’altro capo del filo rispose mia sorella, ma io gli ero già alle spalle, gli gridai il mio nome e lui si voltò sorpreso: già qui?".

"Tutto è compiuto" scrisse in prima pagina la Literaturnaja Gazeta il 13 aprile del ’61 annunciando l’impresa di Gagarin, vent’anni dopo il Resto del Carlino avrebbe potuto titolare lo stesso raccontando di Carboni.

Perché “Sputnik”?

"Perché il disco si conclude proprio con quel pezzo; una ballata sospesa, spaziale, in cui mi sembra di guardare il mondo dall’alto. E poi lo Sputnik era un satellite dalla silohuette tondeggiante proprio come un lp o un cd".

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Paradossale che lei abbia scelto “Sputnik” come titolo di un brano in cui dice “a me basta questo pianeta per essere felice”.

"L’uomo va nello spazio anche a cercare se stesso. Come disse Gagarin ‘da quassù il mondo è bellissimo’; io penso che uno sguardo dall’alto riveli meraviglie che spesso sulla terra ci sfuggono".

Gagarin disse pure (o gli fecero dire) "quassù non c’è nessun Dio". E lei ne ‘L’amore digitale’, un altro pezzo dell’album, canta “non serve Marx, non serve Dio, non serve Freud, mi basto io per dimostrare l’effetto che tu mi fai”.

"È un gioco ironico per parlare d’amore, ma anche di una bellezza che non ha bisogno di canoni per essere definita".

Torre di controllo a Maggiore Luca. “Sputnik” non sembra essere il solo riferimento a David Bowie, visto che ne “I film d’amore” si parla di Berlino e di passioni sotto al Muro che richiamano alla memoria “Heroes”.

"In realtà andai a Berlino con Dalla e vidi con i miei occhi la scena che racconto nel pezzo. Anche se quello del Duca, e soprattutto certe sue avventure anni Settanta, rimane un mondo che m’appartiene. Per alcuni, infatti, sono sempre il malinconico romantico di ‘Farfallina’, ma la voglia di sperimentare con l’elettronica che si portavano dentro certe avventure della coppia Eno-Bowie e una certa new wave anni Ottanta continua a darmi la spinta per giocare con la musica, senza prendermi troppo sul serio, in bilico tra rock e Righeira".

La clip del singolo “Una grande festa”, con le venusiane algide e bellissime, è un’autocitazione.

"Sì, quella del video di ‘Luca lo stesso’, che a sua volta citava lo stiloso Robert Palmer di ‘Addicted to love’. Volevo qualcosa di spaziale per dar vita alle mie fantasie di bambino e questa, con tutta probabilità, sarà pure la chiave del tour nei club che ho in agenda per ottobre".

Quando è cominciato il “volo” del suo Sputnik?

"Un anno e mezzo fa. Ho provinato 17-18 brani per sceglierne 9. Mi sono reso conto, infatti, che la tendenza della nuova generazione è quella di tornare alle 8 canzoni che stavano nel buon vecchio lp".

Un po’ come le accadeva agli esordi.

"Già, allora mi capitava spesso di arrivare in studio solo con 7 canzoni ed erano i dirigenti della RCA a chiedermi un’ ‘aggiuntina’ da registrare lì su due piedi. A ripensarci debbo dire che m’è andata piuttosto bene, se è vero che nel primo album l’aggiunta dell’ultimo momento fu ‘Fragole buone buone’, scritta in realtà per gli Stadio, mentre nel disco del ‘92 addirittura ‘Ci vuole un fisico bestiale’. Pure in quest’ultima fatica, il singolo ‘Una grande festa’ è saltato fuori a lavoro già praticamente finito".

 

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