Bologna, il reading di Maria Antonietta al Cavaticcio

'Sette ragazze imperdonabili' alle 21, la cantautrice pesarese accompagnata dalla musica di Daniele Rossi

Maria Antonietta

Maria Antonietta

Bologna, 2 giugno 2019 - Freschezza e luminosità, come in un moltiplicarsi di specchi, stratificazione e ricchezza di suoni, testi che volgono al minimalismo, magari facendoti sobbalzare, del tipo “sdraiata sulla schiena …faccio gli esercizi per la bara”, una quasi citazione dei suoi venerati WHO. Sul fatto che Maria Antonietta, nom de plume di Letizia Cesarini, cantautrice di Pesaro, un po’ si senta l’ottava delle “Sette Ragazze Imperdonabili”, titolo del libro che sfoglia stasera dalle 22 al Parco del Cavaticcio di Bologna nell’ambito di Biografilm, non c’è dubbio alcuno. Occasione per un reading-concerto dedicato alle sue “sorelle maggiori”, poetesse impazienti, radicali, antipatiche, oneste. L’accompagna Daniele Rossi alla chitarra baritona, violoncello, tastiere e banjo.

A quale delle Sette Ragazze Imperdonabili si sente più vicina?

«Giovanna d’Arco è la mia protettrice, Cristina Campo la favorita, ne amo quel volersi tenere in disparte da alcuni meccanismi dell’editoria, d’esserci di meno per essere di più per avvicinare il paradiso, che non esiste qui».

Un’altra delle “imperdonabili” è Etty Hillesum, una AnnFrank con dieci anni in più…

«Leggerne il diario mi è servito per riflettere sul fatto che spesso scarichiamo colpe sulla realtà che è fuori di noi, mentre lei nel momento più buio anche per la libertà fisica che veniva erosa, fiorisce e comprende che la vita è meravigliosa. Lontano dagli alibi, l’interiorità deve restare intatta, il punto da cui partire per compiersi».

Indichi l’humus culturale in cui è progredita…

«È stato quello di un’appassionata di poesia e di letteratura, molto curiosa, grande lettrice, dedita a cose diverse. Mi sono laureata in Storia dell’arte, ho fatto studi di teologia, stravedo per il mondo animale e per quello delle piante. Condendo il tutto di canto, composizione e musica».

Chi non vorrebbe deludere nel suo terzo disco “Deluderti”, il fiancé Giovanni Imparato?

«In quel titolo c’è una certa sbruffoneria, ho voluto scrivere un concept da dedicare alla delusione, per rivalutarla. Uno è adulto se si sente in grado di deludere qualsiasi tipo di sovrastruttura. Come certe idee degli altri su di te».

Il sogno riposto nel cassetto?

«Non ne ho, sarebbe come autorecintarsi. Penso a delle cose che desidero fare e le faccio. Come andare a Rouen, la città in cui è morta Giovanna d’Arco».

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