Moni Ovadia, Dante? "Da imparare a memoria"

Bologna Festival, stasera brani della ’Commedia’ all’Oratorio di San Filippo Neri. L’attore sarà accompagnato dalle musiche coeve dell’Ensemble MIcrologus

Moni Ovadia

Moni Ovadia

Marco Beghelli M oni Ovadia è a Bologna, per la serata dantesca organizzata dal Bologna Festival (Oratorio di San Filippo Neri, ore 21): letture dalla Divina Commedia saranno intercalate con musiche di composizioni coeve, originali o rielaborate, proposte dall’ Ensemble Micrologus . Maestro, è la prima volta che legge Dante in pubblico? "Mi è già capitato, anche se non spesso. Ricordo in particolare una maratona all’Istituto italiano di cultura di Dublino: l’Inferno recitato integralmente da mattina a sera, in tante lingue differenti, con il testo originale proiettato. Il primo canto venne letto in gaelico dal Presidente della Repubblica irlandese Michael D. Higgins, che è un poeta. A me toccò il canto di Ulisse in italiano". Che rapporti ha avuto con Dante, durante la formazione scolastica? "Non felici: percepivo d’essere di fronte a qualcosa di straordinario, ma ero poco invogliato da insegnanti pedanti e intimidatori, che lo rendevano faticoso. Il mio innamoramento è abbastanza recente, grazie all’incontro con il filologo Federico Sanguineti, che mi ha introdotto a letture critiche innovative, come quelle delle dantiste femministe, che ad esempio propongono una Beatrice assolutamente donna, non più allegoria. Oggi la mia proposta culturale e didattica sarebbe che tutti gli italiani mandassero Dante a memoria: si potrebbe così citarlo a braccio, nel corso di una discussione, trovandovi massime di saggezza tuttora valide. Di fronte a chi parla a vuoto, spinto dal proprio interesse, ma facendotela passare come grande magistero (vedi i politici), funziona ancora benissimo l’indimenticabile Non ti curar di lor, ma guarda e passa ; oppure Fatti non foste per viver come bruti è impeccabile se pronunciato contro il consumismo. Dante è bello da ascoltare: una lingua prodigiosa per suono e ritmo. Mio suocero, uomo straordinario, originario del Mugello, andava nelle aie a sentir recitare Dante a braccio: una consuetudine in Toscana, magari con qualche svarione linguistico, ma tanta passione. Un amico mezzadro, che andava con lui, ascoltava tutto commosso e alla fine gli diceva: ‘Ingegnere, non c’ho capito nulla, ma sento che gli è tanto bello!’". Dalla sua prospettiva ebraica, come vede concetti quali Inferno, Purgatorio, Paradiso? "Gli ebrei parlano poco dell’aldilà. Ci si riferisce al Ge-Hinnom come luogo destinato alle anime dannate [in italiano: la Geenna, ndr ], ma l’ebraismo opera soprattutto nell’aldiquà. Nondimeno ci sono stati ebrei cultori di Dante (Immanuel Romano, ad esempio, che fu suo amico) e si possono individuare interessantissime relazioni fra Dante e l’Ebraismo, come anche con l’Islamismo, dalla cui leggenda sul viaggio del profeta Maometto all’inferno e nel paradiso Dante trasse evidente ispirazione per la sua Commedia . Le relazioni fra i vari mondi culturali erano molto fertili all’epoca". I testi di questa sera? "Li hanno scelti i membri di Micrologus, in relazione alle musiche in programma: non necessariamente passi che parl ino di musica o di eventi sonori, ma versi consoni a quei brani. Per mia fortuna, non ho fatto scuole di teatro: l’attore tende a mettere sé stesso davanti all’autore che legge, per far sentire la bella voce e la fine dizione. Io no: lascio la priorità al Poeta. Ed è per me un privilegio poter dire Dante accanto ai suoni di quello che è forse il più grande gruppo di musica antica che abbiamo oggi in Italia".
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