Pupi Avati, al regista bolognese il premio ‘Jacques Le Goff’

Il cineasta premiato sabato all’Archiginnasio. La Storia è spesso presente nei suoi film

Il regista bolognese Pupi Avati

Il regista bolognese Pupi Avati

Bologna, 1 novembre 2018 - Un premio destinato a «figura nella diffusione e nella didattica della storia, coniugando corretteza, attendibilità ed efficacia comunicativa». Questo è il premio ‘Jacques Le Goff che sabato finirà tra le mani di Pupi Avati (FOTO). E quella di sabato non è una data scelta a caso: proprio il 3 novembre Pupi Avati compie 80 anni, dopo aver da poco festeggiato (con la grande reunion al teatro Consorziale di Budrio) i 50 anni dal primo ciak di Balsamus l’uomo di Satana. Ottant’anni ruggenti visto che ha terminato da pochissimo le riprese dell’ultimo film (lo si vedrà nei primi mesi del 2019): quel Signor Diavolo che ha tratto proprio dal suo romanzo. Un ritorno al dark – o ‘gotico padano’ – che con La casa dalle finestre che ridono lo ha consacrato nel mondo.

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Ora, che Pupi Avati rilegga la storia con ‘correttezza’ è un concetto opinabile: la storia ha fatto da collante a quasi tutta la sua filmografia, ma è stata una Storia alta che si è mescolata con le storie ‘basse’ di una quotidianità riletta quasi sempre in maniera fantastica.

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Con alcune eccezioni. La più esemplare è rappresentata da Magnificat del 1993. Ambientato in un periodo pochissimo frequentato dal nostro cinema, l’Alto Medioevo nell’anno di grazia 926 durante la settimana di Pasqua. Una serie di storie si intrecciano: gli ultimi istanti di vita del signore che domina quelle terre, una ragazza che entra in monastero, un matrimonio, il lavoro di un boia e del suo assistente, il cammino di un monaco di monastero in monastero per censire i confratelli e le suore deceduti durante l’inverno. «Su tutto regna il silenzio di Dio – ha spiegato il regista –. Un silenzio che in quel tempo non era motivato dall’assenza, come accade oggi». Un film dal rigore bressoniano che tra le fonti include certamente l’opera di Le Goff. Uno dei quattro titoli scelti dal regista con il direttore della Cineteca Gian Luca Farinelli, per il restauro. Gli altri sono Le strelle nel fosso, Noi tre e L’arcano incantatore e si vedranno quasi certamente la prossima estate ‘sotto le stelle del cinema’ in piazza Maggiore.

Curiosamente anche questi altri sono film ‘storici’. Noi tre è ambientato nel Settecento del giovane Mozart che arriva a Bologna per superare l’esame all’Accademia Filarmonica. «Ho sviluppato una teoria che non penso così lontana dalla realtà – ha raccontato Avati –. Mozart sbagliò la prova d’esame e solo l’intervento di padre Martini, che gli corresse di nascosto il compito, gli permise di superare la prova. Ma l’errore che fece era troppo ‘ingenuo’: così ho immaginato che lui l’avesse fatto apposta proprio per poter rimanere in queste nostre terre dove aveva scoperto la vita normale e quotidiana di un ragazzo, finalmente lontano dalle grandi corte europee».

Anche Le strelle e L’arcano incantatore (uno dei film più amati da Guillermo Del Toro) possono definirsi film ‘storici’ ma decisamente virati verso il lato oscuro. Nel primo del 1978, quattro fratelli vivono a cavallo tra Sette e Ottocento isolati in una casa sul Po assieme all’anziano padre: l’arrivo di una misteriosa e bellissima fanciulla sconvolgerà in modo irreparabile la lolro esistenza. Nel secondo (1996) ambientato alla metà del settecento, un seminarista è costretto a fuggire e finisce al servizio di un misterioso monsignore allontanato dalla Chiesa per i suoi studi dedicati all’occulto.

La storia entra in modi differenti in tanti altri film di Avati. Il premio Le Goff è in buone mani.

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