Pippo Baudo: "Iniziai suonando e sognando jazz"

L'intervista al testimonial della kermesse

Pippo Baudo con Valeria Mazza e Sabrina Ferilli

Pippo Baudo con Valeria Mazza e Sabrina Ferilli

Bologna, 19 settembre 2015 - Il cool jazz? Troppo astratto e estetizzante. Meglio i suoni più avvolgenti di quello hot, come suggeriva anche Marilyn in A qualcuno piace caldo.

Fedele alla sua figura di intrattenitore – ma il termine è sicuramente riduttivo – più celebre della tv italiana, Pippo Baudo non poteva che amare il versante più emotivo, passionale della musica afroamericana.

Un rapporto che nasce nell’adolescenza e che lo porta oggi a Bologna testimonial della Strada del Jazz, dove scoprirà le stelle dedicate a Sarah Vaughan e Dizzie Gillespie.

Baudo, il suono jazz ha accompagnato la sua vita.

«È stata la musica della mia giovinezza quando, da autodidatta, al paesino in Sicilia, mi esercitavo sul pianoforte cercando di riprodurre i classici di quella musica che in maniera ancora quasi clandestina arrivava dall’America. E proprio come pianista jazz ho avuto il mio esordio tv. Era un programma in diretta da Palermo, presentava Enzo Tortora, e fui invitato con il mio gruppo di musicisti universitari: l’Orchestra Moonlight . Alle band veniva assegnato sul momento un classico del jazz e avevamo 10 minuti a disposizione per arrangiarlo. Fu un successo, ricevemmo i complimenti degli altri ospiti da Sergio Endrigo a Renato Carosone».

E la sua carriera avrebbe potuto prendere un’altra piega...

«Ci ho pensato per molti anni. Passavo almeno quattro ore al giorno sul pianoforte. Quando per la prima volta incontrai Gorni Kramer fu una emozione fortissima. C’era, in Italia, una generazione di musicisti che potevano dialogare dal vivo con le star del jazz americano con la stessa qualità. Kramer era uno di questi, Ma il più grande è stato l’emiliano Henghel Gualdi. A Sanremo 1968, il mio primo festival da presentatore, il gruppo di Henghel accompagnava Louis Armstrong, in gara con la canzone Mi va di cantare. E tra i due c’era una sintonia profonda, come se da sempre avessero suonato insieme».

Quel Sanremo, a proposito di jazz e di Armstrong, lei lo ricorderà sempre anche per un altro motivo.

«Ero con un dei miei idoli, Louis Armstrong appunto e scopro, mentre lui suonava sul palco dell’Ariston, che l’organizzatoreRavera gli aveva detto che avrebbe potuto fare un concerto intero. Così, finita la canzone che doveva eseguire, iniziò subito con il suo repertorio. E io, per evitare che fosse squalificato, gli saltai addosso e lo trascinai dietro le quinte…».

Vi siete più rivisti?

«Una settimana dopo presentavo un programma con l’orchestra di Gorni Kramer e lui era l’ospite. Appena mi vide disse soltanto ‘Mio Dio, Baudo. Ancora lei’ e non mi rivolse più parola».

Lei sarà oggi a Bologna per la Strada del Jazz e poi tornerà per una iniziativa benefica.

«Sarò al teatro Comunale il 26 ottobre per presentare un concerto organizzato per raccogliere fondi per la Fondazione Hospice Seragnoli. Ho accettato con entusiasmo, oltre che per la nobile causa e la grande qualità dei protagonisti della serata, i cantanti Daniela Dessì e Fabio Armiliato, perché Michele Mariotti, che dirige l’orchestra, è il figlio di uno dei miei amici più cari, Gianfranco Mariotti, sovrintendente del Rossini Opera Festival. Gli ultimi ricordi che ho di Michele sono di lui a 4 anni che giocava con noi al parco. Me lo ritroverò davanti qualche decennio dopo. Nel frattempo è diventato uno dei più importanti direttori del mondo».

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