Bologna, il Vangelo in dialetto all'Archiginnasio

Luigi Lepri e Roberto Serra presentano ‘Al Vangeli secànnd Matî’, con tanto di traduzione. "Anche Gesù parlava in dialetto. Doveva farsi capire dal popolo"

Luigi Lepri durante la consegna del Nettuno d'oro

Luigi Lepri durante la consegna del Nettuno d'oro

Bologna, 16 dicembre 2019 - Un secolo e mezzo fa ci provò il conte Carlo Pepoli. Solo che il suo dialetto era per forza maccheronico. Da nobile qual era, declinava la lingua del popolo per puro diletto accademico, di fatto trasformando l’italiano e quindi snaturando la verace parlata petroniana. A rimettere le cose a posto, imponendo l’inappuntabilità filologica nella traduzione del Vangelo di Matteo, hanno pensato i due profeti e custodi della nostra tradizione, Luigi Lepri, un Nettuno d’Oro all’attivo, e Roberto Serra, che oggi alle 17,30 saranno all’Archiginnasio con il loro ‘Al Vangeli secànnd Matî’, abbordabile da tutti anche per la traduzione a fronte pagina del volume Pendragon

"Il testo è integrale e riprende la Sacra Scrittura licenziata dalla Cei nel 2008", tiene a sottolineare Lepri che attribuisce un altro merito al certosino lavoro condotto a 4 mani: "Le traduzioni non devono essere letterali ma rispettose del senso dell’originale. Nel contempo si tratta di un testo che non ammette espressioni irrispettose per cui paura non si può rendere con frasi grezze come si usa nel parlare quotidiano". Insomma un’operazione di cesello che diventa indirettamente anche un omaggio al cardinale Zuppi, che di nome fa appunto Matteo. "Ma il complimento più grande ce l’ha fatto monsignor Ottani che ha scritto la prefazione dicendo che anche Gesù parlava in dialetto per farsi capire dal popolo analfabeta". In realtà oggi non è più solo così, come dimostrano le frequentazioni dei corsi che lo stesso Serra tiene: "Siamo pieni di ragazzi ma anche di stranieri. Il caso più eclatante è un laureato del Bhutan che tra gli allievi del secondo anno si è rivelato il migliore nella scrittura".

Ma non è tutto oro quel che riluce. "Il rinnovato interesse per il dialetto – si rammarica Lepri – fa sì che si improvvisino esperti anche coloro che non lo sono e allora si sente tradurre masticare con ‘masticher’ invece che con il corretto ‘biaser’. E questo è un rischio che il nostro lessico non può correre visto che nell’atlante Unesco delle lingue in pericolo, quella emiliana è inserita tra quelle da salvare". E così la Bâla dal Bulgnaiṡ gira per le scuole a far lezioni: lo scorso anno alle elementari di Castel Maggiore per insegnare ai bambini poesie e zirudelle ("anche qui la più brava è risultata una piccola ivoriana, Stella, ormai per tutti Strèla"). "Paradossalmente saranno gli immigrati a salvare il nostro dialetto per la spinta all’integrazione che caratterizza le generazioni più giovani". Ottimismo? Anche, ma anche la disperazione di chi ha vissuto quando il dialetto era dominante e non un tesoro culturale a sempre più forte rischio d’estinzione.  

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