Arbitri: cent’anni, mille storie e due mondiali

Il presidente Aureliano riunisce nella sede della Rotonda Italia tutti i fischietti: "Sacrifici, sogni, dedizione, onestà e tanto lavoro"

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di Massimo Vitali

C’è una strada invisibile, carica di fatiche e gloria, che parte da via Manzoni, dove nel 1922 sorgeva la prima sede, tocca Yokohama e Rio de Janeiro e alla fine si ricongiunge alla Rotonda Italia. E’ una strada lunga un secolo e a ripercorrerne l’itinerario ieri è stata la grande famiglia dell’Aia, riunitasi nella casa comune della Rotonda Italia per celebrare i cento anni della locale sezione arbitrale.

Una "sezione mondiale", come recita il libro che per l’occasione gli arbitri bolognesi capeggiati dal presidente Antonio Aureliano hanno pubblicato raccogliendo i contributi di chi, in piccolo o in grande, ha fatto la storia delle giacchette nere sotto le Due Torri.

"Sono stati cento anni di sacrifici, sogni, sveglie all’alba, coraggio, dedizione, lavoro e onestà", scolpisce Aureliano, che per la festa delle cento candeline ha convocato il gotha del mondo arbitrale e le istituzioni cittadine, sportive e non.

Dal presidente nazionale dell’Aia Alfredo Trentalange al sindaco Matteo Lepore, passando per i due arbitri mondiali Pierluigi Collina e Nicola Rizzoli (quest’ultimo collegato in videoconferenza per via della positività al Covid), il presidente della Fondazione Museo del Calcio Matteo Marani e l’assessora allo sport Roberta Li Calzi, erano tanti ieri a stipare la sala riunioni della sede Aia, mischiati ad altri uomini di sport: l’ad rossoblù Claudio Fenucci, l’avvocato (ed ex arbitro) Mattia Grassani, Franco Colomba, il presidente del comitato regionale della Figc Simone Alberici, il coordinatore regionale del settore Giovanile e Scolastico Massimiliano Rizzello e il Cra regionale Graziella Pirriatore. C’è chi ha diretto una finale mondiale, come Collina (Germania-Brasile nel 2002 a Yokohama) e Rizzoli (Germania-Argentina nel 2014 al Maracanà di Rio), ma soprattutto ci sono i tanti invisibili demiurghi di arbitri che hanno lavorato sodo, in tutti questi anni, per fare della sezione Aia di Bologna un modello di efficienza.

"Il segreto è il lavoro e la dedizione – spiega Collina, oggi designatore supremo della Fifa –. A Bologna sono stati capaci di fare in anticipo cose che hanno aiutato gli arbitri a crescere e che oggi sono diventate la regola".

Parla con un groppo in gola Collina, "perché anche se passo per essere un freddo ogni volta che vengo qui mi emoziono".

Collina si emoziona e ringrazia i suoi vecchi maestri, su tutti l’ex presidente di sezione Piero Piani, ma anche Roberto Armienti, altra colonna di una sezione che ancora oggi, ancor prima di essere una fucina di arbitri, è una grande famiglia. Plaude anche Trentalange, che loda "la capacità degli arbitri di riempire di valori la funzione che svolgono in campo".

E’ una delle molle che ha spinto Rizzoli a diventare, come Collina, un allenatore di arbitri. "L’ho fatto perché sentivo di dover restituire qualcosa a chi mi ha consentito di crescere fino ad arrivare a una finale mondiale", dice Rizzoli. Si chiama riconoscenza.

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