Arrigoni, un vero alpino per la Fortitudo

Franz, classe 1947, a Bologna negli anni Settanta, sfoggiava un look da montagna e amava l’arrampicata. Con tanto di allenamenti a Badolo

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di Alessandro Gallo

Fosse nato vent’anni dopo, forse, avrebbe suscitato l’interesse persino dei Chicago Bulls e del loro giemme (per altro detestato da Michael Jordan), Jerry Krause. Franco ‘Franz’ Arrigoni, classe 1947, è stato un’icona della Fortitudo degli anni Settanta. Giocatore solido, gran lavoratore, forse non spettacolare, ma utilissimo.

Perché avrebbe dovuto solleticare l’attenzione dei Bulls dell’inimitabile Jordan? Perché tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, la società rossonera cercava atleti con un’apertura di braccia smisurata (come Scottie Pippen), per avere così giocatori capaci di marcare qualsiasi tipo di avversario, dal playmaker al centro.

E Franz Arrigoni, che non arrivava a due metri – 197 centimetri per essere precisi – aveva però un’apertura alare da due metri e dieci. Qualcosa che gli permetteva di difendere anche su Dino Meneghin. Meglio il Menego del suo compagno di squadra Bob Morse, che pure aveva lo stesso ruolo di Franz.

Perché fosse meglio difendere su Meneghin, piuttosto che su Morse, l’ha spiegato una volta lo stesso Arrigoni.

"Il problema non era seguirlo. Era come finire in una sorta di flipper umano dove, io, difensore, diventavo una sorta di pallina impazzita e sballottata da un lato all’altro del campo. Prima sbattevo sul blocco di Zanatta, superato quello c’era Bisson".

E per finire il lavoro, appunto, il solito Meneghin con il risultato che non solo Morse faceva canestro, ma il ‘povero’ Franz si ritrovava pieno di lividi e contusioni.

Otto stagioni in Fortitudo, 234 presenze, 2.061 punti e mai un autografo. Possibile? Possibilissimo. Ma la storia degli autografi e di Franz va spiegata con cura per evitare incomprensioni. I tifosi della Fortitudo, soprattutto quelli più giovani, glieli chiedevano, ma lui, Franz, scuoteva la testa. Mica perché fosse arrogante o presuntuoso. Al contrario: massimo rispetto per chi aveva di fronte e, soprattutto, per i loro genitori. Franz non concedeva autografi e, insieme con il no, arriva la sua spiegazione "Che lavoro fa tuo padre? Chiedilo a lui l’autografo".

Un campione di umanità, Franz, che interpretava la pallacanestro nel migliore dei modi. Come un gioco, nel quale si impegnava e dava il massimo, ma partendo dal fatto che si trattava di uno sport.

Arriva a Bologna che ha 24 anni, poco più che un ragazzo. Ma il look e l’atteggiamento sono quelli dell’uomo maturo, di fatica, che si porta dietro anche il soprannome di Alpino.

Si veste con un look da montagna: camicie di flanella con tonalità scozzesi, pantaloni di velluto o di fustagno, scarponcini ai piedi. Spesso lo zaino sulle spalle: non quelli del ventunesimo secoli, quelli del passato, con foggia militare. Spesso in sella a una bicicletta e, sostanzialmente, mai fermo. Gli piace arrampicarsi fino a Badolo – ma non lo dice a nessuno, in Fortitudo, nel timore che gli proibissero questa sua innocente inclinazione – e una volta ci prova anche sul Monte Bianco.

Una fatica vera, che lo porta a presentarsi al raduno della Fortitudo, in una delle tante stagioni degli anni Settanta, con un peso inferiore di quattro o cinque chili rispetto a quello forma.

Blocchi, rimbalzi e difesa fanno parte del suo dna: ci vuole tutta la grinta del professor Nikolic per tirargli fuori l’aspetto offensivo.

"Franz, tu non deve pensare, tu tira", l’italiano maccheronico di Asa. Franz, che ama scalare, ci mette un po’ a entrare in modalità attaccante. Quando lo fa, però, per la Fortitudo sono solo gioie.

Come nella semifinale di Coppa Korac contro Berck. I francesi sembrano non curarsi di Franz, il suo avversario, Smith, addirittura lo snobba. Franz si arrabbia, infila cinque canestri consecutivi, chiude con 811 e 20 punti. Così, almeno per una volta, sui giornali, l’Alpino o il vecchio Franz, lasciano spazio al più imperiale e autorevole Kaiser Franz.

Da Nikolic, oltre all’esortazione a tirare, impara anche l’approccio maniacale. "Ci insegnava persino a indossare i tubolari, per evitare poi che ci venissero le vesciche".

Tenere i ritmi del professore non è facile. Qualche compagno, magari, rinuncia prima. Franz no: infaticabile. Infaticabile in campo e anche fuori. Punto di riferimento per tutti i giovani. Che magari tratta come matricole, infliggendo loro qualche scherzo. Ma poi, una volta in campo, è il primo a difenderli, cercando di insegnare loro cosa fosse la pallacanestro.

Adora l’estate, Franz, perché negli anni Settanta si passa da un torneo all’altro e lui, che in campo si diverte davvero, arriva ben rodato all’inizio del campionato. Adora Bologna. Lui, nativo di Bergamo, che avrebbe poi trovato a casa a Spinea – ha smesso di giocare nel campionato di Promozione quando aveva 62 anni – non ha mai dimenticato Piazza Azzarita. Prima di sbarcare all’ombra delle Due Torri, conosceva poco i tortellini. Lasciando Bologna, nel 1980, si porta dietro una certa dipendenza per la pasta (non solo tortellini, ma pure tagliatelle) e per gli insaccati, mortadella su tutti.

Di quegli anni d’oro gli sono rimasti tanti amici. Anche della Virtus: "Ammiravo Bertolotti. In campo non ci risparmiavamo, ma fuori massimo rispetto".

(23. continua)

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