Playground Bologna, i campioni e le storie dal campetto dei Giardini Margherita

Presentato, nella sede di Isokinetic, il libro di Alessandro Gallo ispirato alla figura e memoria di Gianni Cristofori, a cui sarà intitolato il campetto di basket

La presentazione del libro di Alessandro Gallo 'Playground Bologna' (foto Schicchi)

La presentazione del libro di Alessandro Gallo 'Playground Bologna' (foto Schicchi)

Bologna, 19 giugno 2019 - Un libro di storie e di aneddoti che si sono gonfiati a tal punto da diventare leggende metropolitane. Nella sede di Isokinetic è stato presentato il volume 'Playground, Bologna a canestro sotto le stelle' (Minerva editore, 20 euro). C’è un sottotitolo che rivela lo spirito del libro (288 pagine e quasi 200 immagini firmate dalla reflex di Gianni Schicchi) “Dalla A di Abbio alla Z di Zunarelli: 300 storie dal campetto dei Giardini Margherita”.

E il segreto del volume è tutto lì, nel campetto, che prossimamente sarà intitolato alla memoria di Gianni Cristofori che per tanto tempo è stato un cronista appassionato e di talento per il Resto del Carlino. L’autore del volume, Alessandro Gallo, è ripartito da questo: dalla memoria di Cristofori che per primo, nel 1982, credette all’idea di un piccolo torneo di basket che potesse prendere piede e diventare così grande da raggiungere l’edizione numero 38 coinvolgendo decine e decine di campioni, mescolati ai “carneadi” di casa nostra.

La prefazione è di Franco Caniato, responsabile della redazione sportiva del Carlino, che ha tratteggiato nel migliore dei modi, con trasporto e un pizzico di nostalgia, la figura di Cristofori in redazione. Da lì, dalla presenza di Gianni, che ai Giardini ha giocato, ecco il torneo rivisto con le storie di chi lo ha giocato. Magari non lo ha vinto, ma ha lasciato il segno in modo indelebile.

Franz Campi, che poi avrebbe intrapreso la carriera da artista e cantante, era un mancino terribile che faceva sempre canestro da tre (e un anno vinse pure il titolo di miglior tiratore). Riccio Ragazzi, all’epoca giovane di talento della Virtus che lo vinse nel 1984 o ancora Giacomo Zatti, bandiera Fortitudo, che lo avrebbe vinto più volte con la maglia dei Cartoloni. L’arrivo a sorpresa di Mike Brown, che nel 1990 scende da una Bmw nera. Gioca (in quegli anni) negli Utah Jazz, ma si lascia convincere dall’amico Claudio Crippa e porta la sua montagna di muscoli ai Giardini.

Paolino Moretti che nel 2001 dà l’addio al basket giocato proprio ai Giardini. E sempre ai Giardini, nel 2002, Ettore Messina davanti a un pubblico immenso (tremila persone?) saluta la sua Bologna e i tifosi della Virtus. Il capitano della Nazionale Giacomo Galanda che indossa la maglia della Fossa dei Leoni, così come Claudio Pilutti. Dan Gay che per la prima e unica volta gioca con il figlio Louis. E ancora qualche rissa, la presenza di Micheal Ray Sugar Richardson che dispensa canestri e regala magie.

Il Playground che fa breccia anche nel mondo della cultura: Concetto Pozzati, che sarebbe stato poi assessore del Comune di Bologna, allena due volte l’Accademia di Belle Arti. E due volte vince. Ivano Dionigi prima e Francesco Ubertini poi, due rettori dell’Alma Mater Studiorum che accompagnano la squadra dell’Università verso un incredibile successo (prima dei trionfi accademici in Europa del Cus). E ancora Matteo Tassinari che conosce il campetto come le sue tasche e fa sempre canestro, ai liberi, perché sfrutta il rimbalzo sordo del tabellone.

Andrea Tattini che gioca a calcio e a basket contemporaneamente. Nino Pellacani che vince uno scudetto con Treviso, ma se gli chiedete, ancora oggi, quale siano i ricordi più belli non vi parla del tricolore, ma dell’atmosfera dei Gardens, che lui ha vinto tre volte, contribuendo a creare un qualcosa di magico. L’immancabile post-Playground al Mulino Bruciato con le discussioni fino alle 3 di notte, davanti al titolare, Luciano Andalò, su chi sia il più forte giocatore e la squadra migliore.

Mario Boni che gioca al campetto nonostante la squalifica Fip. Ma può farlo perché la manifestazione non è federale. Il suo gemello, Andrea Niccolai, pagato 13miliardi di vecchie lire da Roma, che gioca senza aver chiesto il permesso davanti allo sguardo impaurito di un suo dirigente, Piero Parisini. Piero fa finta di nulla, lo lascia giocare e, come sempre accade ai Giardini, nessuno per fortuna si fa male.

O ancora Davide Lamma, uno dei più affezionati al Playground. Nell’estate 2003 è in odor di Nazionale. Recalcati però non vuole che giochi il torneo dei Giardini per paura che si faccia male e chiede all’autore del volume di dare un’occhiata a Lamma. Lamma gioca 40 minuti: la versione che viene comunicata al ct è che il play di Sasso Marconi è solo rimasto come spettatore. Il risultato è che Davide gioca il Playground, va in Nazionale e vince il bronzo agli Europei di Svezia, il preludio all’argento olimpico. Sembra una favola, è tutta realtà. E tutte queste storie si possono trovare nel volume che parte, grazie all’introduzione di Caniato, dalla figura di Cristofori, uno di quelli che ha contribuito a creare una leggenda chiamata BasketCity.

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