
Bologna cade contro l'Atalanta: assenze pesanti e difesa fragile. Italiano punta al riscatto per la Champions.
dall’inviato
Non è da un piatto sbagliato che si giudica un grande chef. Il pranzo di Bergamo va tutto di traverso a Vincenzo Italiano, costretto a impastare un Bologna senza le materie prime più pregiate. Senza Skorupski, Ferguson e Calabria infortunati, con Odgaard e Castro in panchina, sì, ma più per un fatto di rappresentanza: in pratica, fuori mezza spina dorsale. In questo stato diventa difficile stare in piedi senza barcollare, a maggior ragione al cospetto di un’Atalanta affamata di svolta, dopo tre ko di fila in campionato, e di vendetta, dopo l’eliminazione in Coppa Italia.
"La maglia sudata sempre", tuona una scritta nella curva nord bergamasca. Con queste premesse, l’avvio travolgente di De Roon e compagni è una logica conseguenza: anche prevedibile, a voler infierire. Il problema è che il Bologna inizia a sudare la sua, di maglia, dopo ventidue minuti, con il tabellone già sul due a zero per quelli di casa.
Inspiegabile l’approccio dei rossoblù che al 3’ scivolano subito sulla più classica delle bucce di banana di Gasperini: verticale di Pasalic, Miranda dà le spalle a Bellanova che nel deserto disegna un cross perfetto su cui Retegui irride, in un colpo solo, Lucumi, Beukema e Ravaglia. E’ un Bologna ingenuo, sprovveduto come chi va in India durante i monsoni senza lo straccio di un ombrello. In campo c’è solo Ndoye, il resto poco o nulla. Proprio nullo è, invece, Lucumi che al 21’ si fa sradicare più volte il pallone da Retegui che, bello e sereno, crossa per un Pasalic tutto solo in area: piattone al volo e raddoppio, con i rossoblù che restano letteralmente a guardare, forse aspettandosi un fischio di Mariani nel contatto tra il colombiano e l’italoargentino. E’ un’azione specchio della partita. E’ una lezione da universalizzare per evitare di rovinare tutto sul più bello. La morale del Gewiss Stadium? Non c’è spazio per fermarsi in una corsa Champions che si gioca anche sui singoli dettagli. Sì, anche su un contrasto di gioco.
Calma, però, con le conclusioni. Non ci sono avvisaglie per drammatizzare la sconfitta di Bergamo, del resto la seconda in 18 gare del 2025 di un Bologna che – non va dimenticato – s’era presentato a casa di Gasperini con la possibilità di scavalcarlo e piazzarsi sul podio. E invece terzo era Gasp e terzo rimane, allungando a più quattro sui rossoblù, a loro volta scavalcati anche dalla Juventus di Tudor. In novanta minuti, il Bologna scivola fuori dalla Champions. Niente panico, respiro profondo: il calendario conta altre sei partite per restare in ballo e dal Gewiss Stadium i rossoblù tornano comunque con il conforto di una reazione che arriva, anche se non partorisce effetti. Il palo di Ndoye al 35’ (miracoloso Carnesecchi) avrebbe potuto regalare un altro tipo di copione alla ripresa, dove l’ingresso di Casale, Cambiaghi e Dominguez produce solo un timido scossone. Mai abbastanza per spostare l’Atalanta di ieri dalle sue certezze. All’orizzonte ora c’è un’altra montagna, quella dell’Inter. Per domenica Italiano dovrà recuperare lo spirito del suo vero Bologna, con l’aiuto del Dall’Ara (da applausi i mille di ieri). E magari aiuterebbe recuperare anche Odgaard e Castro, insieme al miglior Orso, ieri in versione opaca. Vuoi vedere che lo chef non s’è dimenticato come si cucina?
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