Camporese: "Che emozioni in Coppa Davis"

Omar e la maglia azzurra: "Rappresentare l’Italia è il top. Cominciai seguendo papà Alessandro, poi ci pensò il maestro Spisani"

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Si chiama Omar perché papà Alessandro, che oggi non c’è più, stravedeva per Sivori e per i colori bianconeri. Il bianconero che gli è rimasto addosso – con l’orgoglio di indossare la maglia azzurra –, perché lui è cresciuto nella Virtus. Lui, lo avrete capito, è Omar Camporese, prossimo ai 52 anni (li compirà l’8 maggio) che per Giampiero Galeazzi era il "turbo-dritto".

"Sì – se la ride oggi Omar –. Su quel colpo ho costruito gran parte della mia carriera". Classe 1968, più volte nei primi 20 al mondo: miglior risultato il 18° posto raggiunto nel febbraio 1992. Ha battuto tutti i più grandi campioni, con l’eccezione di Boris Becker. E dire che l’inizio avviene quasi per caso.

"Avevo 10 anni – racconta –. Accompagnai papà che doveva giocare a tennis al circolo tennis Aurora. Quando terminò la partita di papà presi la racchetta in mano e cominciai a palleggiare contro un muro. C’era ancora la possibilità di allenarsi così".

Palleggiare gli piace così tanto che, Omar, decide di giocare a tennis. La svolta, un giorno, in un altro circolo bolognese. "Mi trovavo al Nettuno – insiste –. Stavo giocando e mi vide una signora che mi disse di presentarmi alla Virtus dal maestro Lele Spisani".

E’ il 10 maggio 1978: primo incontro tra Omar e Spisani. Per il maestro, che proprio quel giorno compiva gli anni, il regalo più bello e più gradito.

Omar ha dalla sua il talento, il maestro Spisani la capacità di trasmettere passione e disciplina per accompagnare gli allievi nella crescita. La carriera di Omar è già scritta: a 12 anni comincia a vincere i primi tornei giovanili, a 13 finisce nei centri tecnici federali. Si laurea campione under 18 con un anno d’anticipo. La strada è tracciata.

"La partita perfetta? A Bolzano, contro Sanchez. Quel giorno avrei potuto giocare a occhi chiusi. Qualsiasi colpo finiva dove l’avevo pensato. In quella occasione ho rasentato la perfezione".

Tra le sue vittime Ivan Lendl, ma anche Stefan Edberg, Goran Ivanisevic, Michael Stich, Jim Courier, Pete Sampras. Un solo rimpianto, per giunta doppio.

"L’unico che non sono mai riuscito a battere è Boris Becker. Anche se – ricorda Omar – fui sconfitto in Australia una volta, in volata, pur avendo fatto più punti di lui". Il ko più bruciante, però a Dortmund, in Germania. "Era una sfida di Coppa Davis. Ero avanti nei set 2-0. Ci furono almeno 2-3 chiamate strane. Cambiò tutto. Vinse lui 3-2".

Ma quelle chiamate strane (per non dire di peggio) cambiarono la storia degli arbitraggi: da quel giorno i giudici di sedia non furono più scelti, in Davis, dalla nazione ospitante.

"A Wimbledon, invece, Boris vinse 3-0". Ma l’erba dell’esclusivo circolo britannico era casa Becker. Difficile tenergli testa su quella superficie.

C’è stato un tempo nel quale Bologna ospitava gli internazionali. Si giocava al Cierrebi, dove Omar si sentiva a casa.

"L’aria di Bologna mi faceva piacere. Direi di essere arrivato almeno in semifinale". Ma il flash più bello è legato al confronto con Guillermo Perez Roldan. Il centrale di via Marzabotto è murato: non entrerebbe nemmeno uno spillo. Ma fuori, a sentire i boati del pubblico, che prova a dare la spinta giusta a Omar, ci sono almeno 3mila persone.

Ha ancora una primato, Omar, la sfida in Brasile, a Macejo contro Luiz Mattar. Finisce 6-3, 5-7, 6-4, 6-7, 6-4 per Omar che resta in campo per più di sei ore.

"Trasferta da dimenticare – spiega –. Avevo già i miei problemi al braccio. Si gioca in un impianto costruito sulla spiaggia. Un caldo pazzesco e succedono cose incredibili. Stefano Pescosolido disidratato, il telecronista Rai coinvolto in un incidente auto con qualche frattura. Non ne va bene una".

Ma la Davis, racconta Omar, è un’emozione unica. "Mi è sempre piaciuto affrontare quella manifestazione. Non avevo bisogno di stimoli per giocare, però indossare la maglia della mia Nazionale, difendere l’onore e il prestigio del mio paese mi regalava emozioni straordinarie. Il clima che respiravo in Davis era speciale".

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