Beppe Signori: "Voglio ripartire, col Bologna sarebbe il top"

Beppe si racconta ripercorrendo la felicità scandita dai gol e l’incubo del calcioscommesse finito dopo dieci lunghissimi anni: "Mi è stata rubata una fetta di vita bellissima, ma alla fine ho vinto io. Il mio sogno? Tornare nel calcio da allenatore, anche dei ragazzi"

Beppe Signori

Beppe Signori

Fendendolo col suo magico sinistro, Beppe Signori sapeva rendere leggero il pallone come pochi e lo faceva volare spesso e volentieri alle spalle dei portieri. Un giorno, di colpo, quella sfera ha preso la forma di una pesantissima palla da demolizione che ha mandato in frantumi le certezze di una vita. Senza preavviso.

Bologna Lazio 3-0: i rossoblù perfetti blindano Mihajlovic

Era il primo giugno 2011 quando l’ex stella e capitano di Lazio e Bologna veniva arrestato nell’ambito di una maxi inchiesta sul calcioscommesse. Beppe, icona del calcio italiano, vicecampione del mondo a Usa ‘94, si vide sventolare in faccia il cartellino più rosso di tutti. Dal perimetro verde dove aveva fatto sognare migliaia di tifosi al perimetro della propria casa dove sprofondare nell’incubo dei domiciliari. "Sono sereno, chiarirò tutto", disse lui mentre veniva scortato in questura dagli agenti che poco prima l’avevano prelevato in stazione. Ci metterà dieci anni a chiarire tutto, al prezzo di un’esistenza interrotta e una serenità fatta a pezzi: ma alla fine vincerà lui, come spesso gli capitava in campo. Lo scorso febbraio l’assoluzione piena dalla giustizia ordinaria, poi il primo giugno – già proprio quello stesso giorno – arriva la grazia anche dall’ordinamento sportivo, con le porte del calcio – il suo mondo – che gli si riaprono.

Beppe, la prima domanda è la più importante: come sta?

"Ormai meglio, ma ancora ovviamente non posso dire di stare bene. Sono fermo ai box: starò meglio quando avrà trovato un’occupazione. Certo, questa doppia assoluzione è stato il gol più importante della carriera".

Sì, ma per esultare ha dovuto aspettare dieci interminabili anni. Come un Var senza fine...

"Dieci anni sono tanti. E pesano anche di più perché erano nel bel mezzo della mia vita: dai quaranta ai cinquanta è la fase in cui puoi goderti un po’ il tempo dopo una lunga carriera, hai la possibilità di fare ciò che ti piace, nel mio caso diventare un allenatore. E, invece, questo tempo mi è stato strappato inutilmente, senza ragione".

Ma c’è qualcosa da salvare di questo lungo incubo?

"L’aver visto i miei bambini crescere, la vicinanza di mia moglie. In questi casi ti aggrappi alle persone più care. Ecco, gli amici: mi sono ritrovato quelli che aspettavo di ritrovarmi, e di questo vado fiero. Ovviamente mi hanno deluso quelli che sapevo mi avrebbero deluso".

Quanto l’ha aiutata la fede?

"Sicuramente tanto. Ma io sono sempre stato devoto a padre Pio. La fede non dev’essere una cosa cui aggrapparsi solo nei momenti difficili, così è troppo semplice".

Adesso cosa vuole fare Beppe Signori?

"Nel 2010 ho fatto il percorso di Coverciano, ho preso il patentino da allenatore: il mio sogno è cercare di aiutare i ragazzi a coltivare la loro passione, mettere a disposizione la mia esperienza. Ai miei tempi si stava con i compagni, giocavamo a carte, scherzavamo. Oggi è diverso: questi giovani stanno sempre sul cellulare, si estraniano".

Rientrare nel calcio magari dalla porta del Bologna sarebbe il massimo.

"Perché no? Io cerco di valutare ogni possibilità. Ovviamente so di partire da debuttante, ma tutti, anche i più grandi, hanno iniziato con la prima partita. Non ho pretese assurde: se c’è l’occasione di lavorare con i grandi, bene, ma se c’è da cominciare con i più giovani, va benissimo. E’ un grande stimolo".

Cosa significano per lei Bologna e il Bologna?

"E’ casa mia, la città ideale per stare bene qui ho scelto di vivere con la mia famiglia. Seguo la squadra tutte le volte che posso: sono tornato al Dall’Ara con il Verona".

Deve ringraziare Baggio...

"Roby mi consigliò perché era stato qua l’anno prima e si era trovato molto bene: avevano risolto i suoi problemi fisici e li avevo pure io. Non ho avuto dubbi sulla scelta".

Era l’annata ‘98-‘99: Mazzone, la favola in Uefa sfumata nei minuti finali della semifinale col Marsiglia.

"Carlo è stato un secondo padre per me, persona eccezionale. E la nostra era una squadra completa, in tutti i reparti. Quella partita.. ah, ricordo ancora la palla che ebbi sul destro al 92’: calciai troppo bene e Porato parò".

Di quel Bologna, le dico un nome: Klas Ingesson.

"Grande uomo, grande giocatore, grande in tutto. Purtroppo ora ci guarda da lassù, ma la sua umanità è qualcosa che non dimenticheremo mai".

Un rimpianto più grande quella sfida coi francesi o la finale non giocata con l’Italia a Usa 94’?

"Sono due situazioni diverse. Il rimpianto c’è quando hai una possibilità: con il Marsiglia l’ho avuta, contro il Brasile no".

E noi perdemmo ai rigori, dove lei era infallibile.

"A memoria, ne ho sbagliati cinque in tutta la carriera".

Perché tirarli da fermo?

"Una volta il portiere non poteva muoversi sulla linea di porta, quindi io non prendendo la rincorsa gli toglievo il tempo di scattare prima. Quando vedevo il suo ginocchio abbassarsi capivo che spingeva su quella gamba per andare dalla parta opposta: e così lo spiazzavo".

Lei e Mihajlovic compagni alla Samp. Chi calciava meglio le punizioni?

"Penso di essere stato l’unico a potergli dire: lasciami tirare questa. Non era semplice con lui (ride, ndr). Scherzi a parte, Sinisa era più forte lontano dalla porta, io sulle zone più vicine".

L’ha sentito di recente? E’ un momento difficile per la sua panchina...

"Ci siamo un po’ persi. Prima sono stato male io, poi c’è stata la sua malattia. Ma non significa che non avremo modo di ritrovarci".

Intanto c’è Bologna-Lazio, la vostra partita. Ma i rossoblù ci arrivano male.

"Ci vuole un po’ di equilibro nei giudizi. Prima non erano una squadra da Champions e ora non sono da retrocessione. Il Bologna ha fatto otto punti, in tanti ci avrebbero messo la firma: penso possa fare un bel campionato. Certo, la Lazio arriva con la spinta del derby".

E sembra cominciare ad assimilare le idee di Sarri.

"E’ uno dei miei tecnici preferiti: mi piacciono tutti quelli che fanno il 4-3-3. Il mio motto è difendersi attaccando".

E qui la mente vola al Foggia di Zeman. Dica la verità: erano così impossibili gli allenamenti del boemo?

"Ho fatto sette ritiri con lui e sono ancora vivo... certo, il primo fu durissimo: la notte facevo fatica ad addormentarmi, l’acido lattico non mi faceva muovere le dita dei piedi. Però poi arrivava il giorno della gara e tu andavi il doppio degli altri. Che squadra spettacolare, quel Foggia".

Per chi tiferà domenica?

"Mi auguro finisca in parità, per non fare torto a nessuno. Anche perché al Bologna un pari sarebbe importantissimo e per la Lazio non sarebbe un risultato da buttare. In fondo sono le squadre che hanno coronato i sogni della mia vita".

 

 

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