Il playground dei Giardini parla americano

Oggi arrivano i giocatori della Drew League, ma a inizio anni ’90 furono due icone come Sugar Richardson e Mike Brown ad aprire la strada

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di Alessandro Gallo

Gli americani al Playground. Quelli della Drew League – una lega estiva molto famosa Oltreoceano, in cui proprio in questi giorni si è cimentato anche LeBron James – sono sbarcati ieri, oggi cominceranno a prendere contatto con la nuova realtà e, domani, debutteranno ai Giardini Margherita. Subito partita da dentro o fuori, per i californiani che hanno detto sì a Bologna ma, qualora dovessero perdere – gli americani hanno la tendenza a snobbare gli europei e il playground dei Giardini ha i suoi piccoli segreti che esaltano i carneadi di casa nostra – ci sarà la possibilità di rivederli all’opera. Cresce l’entusiasmo, ma non è la prima volta che, il cemento dei Giardini, intitolato a Gianni Cristofori, ospita i califfi a stelle e strisce.

Il primo a sdoganare il Playground di Bologna è un grandissimo: Micheal Ray Sugar Richardson. Con la maglia gialloviola (modello Lakers) di Saxon, alla fine degli anni Ottanta Sugar si mette a disposizione di coach Michelini. E ai Giardini, tra ammiccamenti e triple, infiamma il pubblico. Curioso il tesserino che deve sottoscrivere per giocare. Il Playground non è un torneo Fip e, per scendere in campo, Micheal deve tesserarsi per l’Uisp, che però sbaglia il nome: Michel anziché Micheal. C’è un Sugar I e un Sugar II: nel 1998 Micheal torna ai Giardini. Lo fa con un programma preciso, come confida al Carlino. "Ho 43 anni, sono ancora integro e posso giocare in qualsiasi formazione italiana. Bastano 200mila dollari: chi mi ingaggia fa un affarone". Seguito dal masseur Marco Balboni, Sugar esalta i Giardini. E dopo quel ’provino’ trova prima un contratto a Forlì e poi a Livorno.

L’effetto a sorpresa, però, si consuma durante le Notti Magiche cantate da Edoardo Bennato e Gianna Nannini. Nel 1990 ci sono i Mondiali di calcio che interessano il Dall’Ara? Beh, ai Giardini Margherita, grazie a Claudio Crippa – che diventerà un giocatore della Virtus nel 1997 –, ecco un arrivo dalla Nba. Claudio viene chiamato da una squadra e, una sera, si presenta a bordo di una Bmw scura. "Scusate - dice con modi gentili -, c’è un amico che mi ha chiesto di accompagnarmi. Possiamo far giocare anche lui?".

L’amico è una montagna di muscoli: dalla Bmw spunta Mike Brown, classe 1963, visto all’opera negli Utah Jazz. Claudio e Mike sono amici dai tempi della comune avventura a Desio e, grazie a questo feeling, i Giardini possono appuntarsi una medaglia: aver ospitato un giocatore Nba in attività.

Chiusura con un’altra squadra che arriva dal Nord America. Siamo nel 1993 ed ecco che il Playground propone una formazione di canadesi. Si tratta dei Thunderbirds. La stella è Jim Zoet, un gigante di 39 anni e 216 centimetri che, dieci anni prima di quel Playground, ha giocato nei Detroit Pistons. Gruppo estroso: i canadesi vengono ospitati a Villa Guastavillani, prendono d’assalto tutti i fast food di Bologna ma, una volta compresa la nostra cucina, si rifugiano in un ristorante di via Andrea Costa e, alla sera, danno l’assalto al Mulino Bruciato.

I canadesi non sono fortissimi sul campetto, ma nel consumo di birra non hanno rivali. E con la birra mettono insieme anche un gustoso aneddoto. La trasferta a Bologna, oltre al gioco, è per loro una vacanza. Tra le mete preferite, anche Maranello e lo stabilimento Ferrari. Fin qui nulla di strano. Solo che ai canadesi vengono affidate auto a metano. I canadesi ignorano le funzioni del metano e il modo di fare il pieno. Il risultato? Nella tratta di ritorno, Maranello-Bologna, restano a piedi. E a piedi raggiungeranno Villa Guastavillani. Leggenda metropolitana o realtà, la storia dei canadesi rimasti a piedi è giunta fino ai nostri giorni, trent’anni dopo.

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