Killer instinct e cinismo, armi da ritrovare

Alessandro

Gallo

Il difetto, se difetto si tratta, è l’abitudine a vincere spesso. E a prendere gli avversari per stanchezza, dopo averne saggiato il talento. La Virtus dal 2019 si è riabituata a vincere e a farlo con superiorità, grazie a un organico di assoluto valore.

Il problema è che questo in Eurolega non basta. O meglio, non funziona: perché la fisicità è di un altro livello, perché anche le altre squadre possono contare su organici sterminati.

Si spiega così che una Virtus bella e spettacolare per quasi un tempo – capace di arrivare al 42-23, scherzando con i francesi – non sia poi capace di chiudere i conti.

Contro il Villeurbanne l’altra sera, così come contro lo Zalgiris, a Kaunas. La differenza tra avere un bilancio di 4 vittorie e 2 sconfitte (solo virtuale) e un conto di 2-4 (quello reale) è, al momento, restare fuori da quella zona playoff che garantirebbe alla Virtus l’Eurolega anche per l’anno prossimo, senza aspettare cambi di regolamento o wild-card.

C’è poi – succedeva anche con Djordjevic – la tendenza quasi narcisista di questa Virtus all’autocompiacimento. Sul 42-23 sembrava di assistere a un monologo di una squadra nettamente superiore.

Ma, appunto c’è un ma, le partite prima bisogna vincerle, chiuderle. E poi, magari, pensare allo show-time, all’accademia. Alla Virtus mancano pazienza e istinto del killer. Sulla pazienza ci si può lavorare, sull’istinto del killer, magari, un po’ meno, perché uno ce l’ha o non ce l’ha.

E allora? Ripartire dai primi 15 minuti contro il Villeurbanne e trasformarli in 30-35 (impossibile tenere quel ritmo, almeno ora, per 40 minuti). E magari evitare sceneggiate pubbliche (la rabbia di Milos) perché così si minano le basi di un gruppo che ha sì uno zoccolo duro, ma è ancora in costruzione. Mickey, Bako, Ojeleye, Lundberg devono prendere le misure della nuova realtà. Diamogli tempo.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro