Ma ora la Serie A deve rifiatare

Giuseppe Tassi

La Lega Serie A tocca un tasto dolente. Il calcio del dopo lockdown piace a pochi e fa paura a tanti. Presidenti compresi. Pensare di ricominciare il 12 settembre senza pubblico, con giocatori spompati e valori tecnici alterati dalle mille variabili di questa pazza estate del pallone non è facile. In più c’è il maledetto protocollo sanitario che obbliga i giocatori e staff a sottoporsi a tamponi ogni quattro giorni. Un percorso ad ostacoli costoso e difficile da sostenere a lungo, trasformandolo nella normalità.

Con la sua richiesta di far slittare il campionato di due settimane, il numero uno della Lega, Dal Pino, imbocca la strada della logica e del buonsenso. Prendiamo il caso limite di uno juventino vestito di azzurro, diciamo Bonucci. Con il calendario di oggi potrebbe ritrovarsi a giocare la finale di Champions il 23 agosto, per essere poi in campo il 4 settembre con l’Italia di Mancini contro la Bosnia e riprendere il campionato il 12.

Ma aldilà del logorio fisico e psicologico degli atleti e dei problemi organizzativi dei club, il vero nodo è quello di riportare il pubblico negli stadi: un’esigenza economica imprescindibile per le società che scontano oggi i danni da lockdown. Il rinvio della Serie A serve soprattutto a questo: preparare un nuovo protocollo medico, che consenta al calcio di riavvicinarsi alla normalità. Con lo stato di emergenza prorogato fino al 15 ottobre, serve per forza una deroga del governo per consentire al pubblico di tornare a tifare sulle gradinate degli stadi. Il messaggio di Dal Pino chiama in causa proprio Conte e il ministro Spadafora. Tocca a loro decidere se il calcio può tornare quello di prima.

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