Pedale Bolognese, un secolo sulle due ruote

Nel 1922 Gotti e tredici amici diedero vita a un gruppo capace di vincere otto titoli. Il presidente attuale è Grimandi, quello onorario Cocchi

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di Angelo Costa

Festeggia cent’anni di vita (domani) il Pedale Bolognese, ma qui speciale non è soltanto la ricorrenza: è soprattutto il modo di intendere il ciclismo, che dal primo giorno non è mai cambiato. Speciale è poco, bisognerebbe dire unico: da un secolo chi veste la maglia biancoverde va in bici per divertirsi, divulgando il messaggio che pedalare è una gioia. E’ fissato anche nello statuto, scritto a mano e mai modificato dalla fondazione, anche se certe regole non hanno bisogno di esser messe su carta: oltre che rispettarle, è facile trasmetterle quando si hanno dentro.

Aveva questo spirito Giulio Gotti il 15 aprile del 1922 quando al Bar Sport, insieme a tredici amici, mosse il primo passo di questo splendido cammino: già promotore del Gruppo sportivo bolognese di calcio, diede alla nuova società un solo scopo, ‘la coltura e la diffusione dello sport ciclistico’, lasciando fuori dalla porta la politica, la religione e anche il denaro degli sponsor. A garantire questa idea è stato lui stesso, godendosi la sua creatura per un’ottantina d’anni prima di andarsene a sua volta centenario. Poi ci hanno pensato i suoi successori fino al presidente attuale Gabriele Grimandi, oltre a Paolino Cocchi che oggi ricopre la carica a titolo onorario, ma soprattutto chi ha indossato e indossa una divisa diventata simbolo di un modo di fare sport e non solo perché da un secolo è la stessa. Poi ti spieghi perché la vita di una società da semplice storia si trasformi in favola.

Di favoloso nel Pedale Bolognese c’è la semplicità del rito: quando arriva l’inverno, i cento e passa soci si ritrovano, disegnano il calendario delle gita e da marzo a ottobre pedalano assieme, scoprendo luoghi e panorami, godendosi buone e ricche tavolate. Funziona così da un secolo e non è il caso di chiamarla abitudine o tradizione: è l’esemplare dimostrazione di come si celebri una passione. E’ stato così agli inizi, nell’era del fascismo, come nel dopoguerra, nell’Italia industriale e in quella 3 o 4 punto zero che dir si voglia: col tempo sono cambiati il fisico e le biciclette, mai la filosofia.

Se è vero che il primo amore non si scorda mai, qui non si è dimenticato nemmeno un ideale: pedalare per il gusto di farlo. Dentro un secolo c’è tanta roba, compresi tesserati illustri come Girardengo e Brunero, vincitori di Giri d’Italia e grandi classiche. Ci sono anche otto titoli nazionali a livello amatoriale, prima che il cicloturismo venisse scelto come attività unica. Ma c’è prima di tutto la capacità di cogliere l’aspetto sociale della bici, per andare avanti insieme o anche per ripartire, come successe subito dopo la guerra quando furono proprio i ‘pedalini’ a disegnare i primi itinerari ciclistici in una Bologna ridotta in macerie.

Legandosi a questi valori più che a un risultato o a una convenienza, il Pedale arriva oggi a tagliare un altro traguardo. Lo celebrerà nel weekend del Primo maggio, con una pedalata sociale e un inevitabile brindisi a Barolo, primo appuntamento di una stagione che proseguirà con le consuete gite estiva e autunnale. Niente di particolare, anche se la particolarità di questo glorioso sodalizio è nella ripetitività dei piccoli gesti quotidiani: è grazie a questi se, quando si parla del Pedale Bolognese, dopo cent’anni non è ancora arrivato il momento di dire ‘c’era una volta’, ma si continua a guardare avanti.

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