Pilutti: "Il PalaDozza, un’emozione infinita"

"Provai un brivido entrando nell’arena. Poi tra le gioie metto lo scudetto del 2000 e la maglia Fortitudo fatta indossare al Nettuno"

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di Alessandro Gallo

Sette stagioni in due momenti diversi in Fortitudo. Dal 1994 al 1997 e dal 1998 al 2002 per un totale di 221 presenze e 1.256 punti con la maglia dell’Aquila. Ma la vita di Claudio Pilutti, nato a Castellamonte (Torino) il 28 aprile 1968 è legata a doppio filo con Bologna. Perché insieme con le esperienze in Fortitudo c’è stato l’anno al Progresso, in A2, le stagioni al Gandino e al Castiglione Murri. E pure nella Virtus… 1934, un’annata che Pilu cerca di tenere nascosta.

Prima di tutto, però, la soluzione di un rebus: se è nato in Piemonte perché ha uno spiccato accento veneto?

"I miei genitori – racconta – si erano spostati in Piemonte per seguire il lavoro di papà. Poi, dal 1973, siamo tornati a Mestre, dove sono cresciuto".

Icona della Fossa dei Leoni e decine di ricordi legati alla Fortitudo. Lui che ha giocato anche per Cantù e Mestre, dopo l’esperienza a Trieste, stava per trasferirsi armi e bagagli a Milano.

"Avevo già visto casa, ma non ero del tutto convinto. Ero in spiaggia, con mille dubbi. Arrivò una chiamata da Maurizio Albertini, all’epoca giemme della Fortitudo. ‘Avresti voglia di fare quattro chiacchiere?’. Risposi subito: ‘E’ tardi se arrivo tra due ore?’. Alla sera l’accordo, la mattina dopo ero già a fare le visite mediche".

Amore a prima vista con l’idea, non proprio originale, di trasformarlo in un playmaker.

"A Trieste Tanjevic aveva il pallino del regista che sfiorasse i due metri. Diciamo che sono stato Bodiroga prima di Bodiroga. Solo che Bodiroga ha fatto il play un po’ meglio".

Ci aggiunge la risata, Pilu. Un ottimismo contagioso il suo, che ricorda di aver tenuto a battesimo il primo Bodiroga. "Arrivò a Trieste che non aveva più di 17 anni. La prima stagione si è solo allenato. Poi dalla seconda è diventato il più giovane straniero che ci fosse in Italia. Lo marcavo, ti dava l’idea di essere lento. Ed effettivamente non era velocissimo. Però con il talento straordinario che aveva, ti fregava comunque".

Mille aneddoti con la Fortitudo. "Il ricordo più bello è stato lo scudetto del 2000. Un’emozione fantastica, così come la prima final four di Eurolega. Ma dal punto di vista emotivo, piacevolmente devastante, è stato salire le scale del PalaDozza ed entrare nell’arena".

Oltre alla sua maglia numero 6, anche un record in Fortitudo. Partita in Coppa Korac a Trencin, in Slovacchia: Pilu chiude con 34 punti. Ma soprattutto con 88 da due e 66 da tre. La perfezione. Idolo della Fossa dei Leoni che gli dedica anche un coro: "Claudio Pilutti, noi con te ci vogliamo ubriacar…".

Quale sarà l’origine? "Non lo so, anche perché cominciarono a intonarlo prima di avermi visto a qualche festa. Diciamo che, reggo bene la birra".

Nella classifica All Time, in questa bizzarra specialità, secondo solo a Dan Gay. "Lasciamogli pure questa illusione – insiste Pilu –. Come quando Dan sostiene di non aver mai perso una partita a carte. Briscola, sbarazzino, tressette. Eravamo io e Micio Blasi (due giorni fa il diciottesimo anniversario della scomparsa di Andrea), il white power, contro Dan e Marcellino Damiao, il black power. Bastonati sistematicamente. Giocavamo ovunque: in pullman, sugli aerei di linea e nei charter. Persino sugli autobus. Ai miei tempi, anche se mi viene da ridere dicendo così, non c’erano i telefonini".

Un solo ricordo brutto. "La finale del 1997, quella con Treviso. Ce l’hanno portata via. Eravamo a +6, tripla di Myers per il +9. Era tutto fatto, mancava una manciata di minuti. Si inventarono un fallo in attacco di McRae. Dal +9 al +6, senza responsabilità. E la sfida girò".

I compagni con i quali ha legato di più sono Dan Gay, Sale Djordjevic e Jack Galanda. "Il basket di oggi mi piace un po’ meno. Ma magari, negli anni Novanta, dicevano lo stesso di noi. Oggi ci sono troppi stranieri. O meglio, gli stranieri andrebbero bene se fossero come Dan Gay. Lui sostiene di essere di Tallahassee, la capitale della Florida. Noi abbiamo sempre sospettato che fosse almeno cresciuto a Napoli. Era più italiano lui di tutti noi messi insieme".

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