ALESSANDRO GALLO
Sport

Quelle meteore a Bologna. Elliott, Smith e Vandiver: tre grandi promesse svanite al PalaDozza

Bob è una star del Gira nel 1977: scappa negli States dopo una multa pesante. James Oliver è il centro di transizione della Virtus in attesa di Meriweather. Shaun è una prima scelta, ma con lui la Fortitudo rischia di retrocedere in B.

Elliott, Smith e Vandiver: tre grandi promesse svanite al PalaDozza

Bob è una star del Gira nel 1977: scappa negli States dopo una multa pesante. James Oliver è il centro di transizione della Virtus in attesa di Meriweather. Shaun è una prima scelta, ma con lui la Fortitudo rischia di retrocedere in B.

Campioni, certo. Ma Basket City, oltre a stelle di prima grandezza, ha messo in fila anche star, o presunte tali, che una volta a Bologna si sono sciolte come neve al sole.

Il primo straniero che fa discutere è datato 1965: l’Italia riapre le frontiere agli stranieri. In serie A c’è la Virtus che, spera di trovare una spalla adeguata al talento di Dado Lombardi. Il nome promette perché è Terry, ma Driscoll arriverà solo qualche anno più tardi. L’anagrafe dice che si tratti di Terry Dale Werner. E’ un centro bianco, di 203 centimetri, classe 1943. In un ritratto fulminante, Gianni Cristofori, sul Carlino di qualche anno più tardi, lo descrive così: "Protagonista di un mediocre precampionato, poi discusso durante l’anno dal pubblico per il suo gioco poco spettacolare. Dotato di una grande tecnica e di ottimi fondamentali, sfonda definitivamente l’anno dopo a Pesaro. Nella Candy segna 336 punti".

Ma a Bologna non lascia il segno e la Virtus, pur essendo sempre molto attenta al parco degli italiani, decide di cambiare registro. E americano. Ma è destino che la Virtus, almeno nella metà degli anni Sessanta, faccia davvero fatica a rapportarsi con il mondo a stelle e strisce. Dopo Werner, ecco Dave Mills, di un anno più giovane. Anche Mills non solo non lascia il segno, ma riparte, dopo una sola stagione, con l’etichetta di bidone. Illuminante, in merito, la penna di Gianni Cristofori sempre sul Carlino. "Pivot di 2,08. Fu probabilmente il peggior americano sceso a Bologna. Lungo e magrissimo, soprattutto ingenuo. Offre uno scarso contributo alla propria squadra. Segna 210 punti".

Ancora più misteriosa, qualche anno più tardi, la vicenda legata a Doug Cook. E’ la Virtus 1970/71, l’avvocato Porelli sta ancora imparando il mestiere di dirigente di basket (poi diventerà uno dei più grandi di tutti i tempi). E’ una Virtus che si salva solo agli spareggi di Cantù. Le cronache del tempo, lo ritraggono così: "Ala, 199 centimetri, arriva da Cincinnati in una Virtus in clima di smobilitazione e in lotta per non retrocedere. Giocatore robusto e di buona tecnica, rende però pochissimo, sia per la scarsa adattabilità in un ruolo, il pivot, non suo, sia per infortuni sia per squalifiche". Il mistero? Beh, raccontato più di mezzo secolo dopo fa quasi sorridere. Per giustificare un rendimento al di sotto delle attese, nei giornali del tempo, si parla di una scarsa adattabilità degli americani all’acqua di Bologna. Possibile? A distanza di anni fa sorridere, ma nei primi anni Settanta si parla di una colite così pronunciata da minarne le forze. Cook o meno, acqua o meno, i bianconeri si salvano e vanno avanti.

Anno di grazia 1977: le squadre a Bologna, in A1, sono addirittura tre, Virtus, Fortitudo e Gira. Il Gira, riapparso sulle ceneri del club che negli anni Cinquanta contende lo scudetto anche all’Olimpia Milano, gioca il sabato pomeriggio. Il palazzetto è sempre pieno anche perché il Gira, che vuole ritagliarsi un proprio spazio, schiacciato tra Fortitudo e Virtus, distribuisce nelle scuole e nelle società di basket, centinaia e centinaia di biglietti.

Nel Gira ci sono Meo Sacchetti e Renzo Bariviera. Gli statunitensi sono due: il biondo e baffuto Steve Hayes e il moro Bob Elliott. Bob ha un talento smisurato, con il pallone tra le mani è capace di magie incredibili. Il problema, che lo ha sempre limitato, è il carattere bizzoso. L’inclinazione alla polemica. Con gli avversari e con gli arbitri. In un derby con la Virtus litiga con mezzo mondo, lancia la tuta contro i fischietti: espulso. La società lo multa: 8mila dollari. E’ l’inizio della fine: lui si lamenta pubblicamente perché il club non gli offre l’opportunità di pagare l’ammenda in due rate. Gli attriti continuano: il 16 marzo 1978 Bob comunica al Gira di voler rientrare negli Stati Uniti al seguito della moglie. La squadra finisce la stagione con un solo straniero.

Anno 1985: la Virtus ha appena firmato un’ex stella dei Sixers di Philadelphia, Sam Williams. Manca ancora un centrone per completare una squadra che, almeno sulla carta, possa lottare per lo scudetto. La firma con Joe C. Meriweather non c’è ancora. E allora l’avvocato Porelli fa arrivare, da Montecarlo, James Oliver Smith. Onesto mestierante, fisico imponente, ma mani e talento vicine allo zero. Ingaggiato a gettone, James Oliver, se ne andrà dopo nemmeno un mese. Senza rimpianti.

Mondo Fortitudo, anno 1991. Dopo i fasti e il derby del sorpasso, del 1988, la società è costretta a stringere la cinghia. Ridimensionati i progetti, tagliati i costi. La squadra si ritrova in A2 e punta su un gruppo di giovani allenati da chi li ha tirati su, portandoli anche alla conquista di un titolo giovanile, Stefano Pillastrini. In una squadra così e in una realtà sportiva non ancora travolta dal ciclone Bosman - stranieri in libertà per tutti - diventa fondamentale la scelta degli statunitensi.

L’Aquila pesca Shaun Vandiver, è il gigante che sembra adatto per la Fortitudo, anche perché si tratta di una prima scelta. Un ginocchio malandato lo condiziona, Shaun, di suo, ci mette anche un temperamento che è tutt’altro quello di un cuore di leone. Non è quello di cui ha bisogno una squadra per salvarsi. E non è un caso che, per evitare lo spettro di una retrocessione in serie B che potrebbe avere conseguenze disastrose, Shaun lascia il posto a Teo Alibegovic, il salvatore. La storia, in quel 1992, è salva.

(1. continua)

Continua a leggere tutte le notizie di sport su