Scariolo: "Il collettivo è la ricetta per l’Europa"

Dal grande exploit continentale con la Spagna alle ambizioni della Virtus. Don Sergio è carico: "Ho seguito gli allenamenti, mandavo vocali da 10 minuti"

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di Alessandro Gallo

"Coesione, disciplina e altruismo", sono alcuni concetti che sono serviti a Sergio Scariolo per conquistare, alla guida della Spagna, il quarto europeo in cinque partecipazioni. Sergio è atteso a Bologna domani, sabato comincerà ad allenare una squadra che non ha mai perso di vista, come lui stesso racconta.

Intanto, ‘lavora’ per la Nba, che non ha dimenticato come lui, Sergio da Brescia, abbia conquistato un anello come assistente dei Toronto Raptors. Ieri pomeriggio è stato coinvolto da "Jr Nba Coaches online", una piattaforma a stelle e strisce dedicata ai tecnici attraverso tutorial e clinic. E’ in questo contesto che don Sergio si è concesso alcune riflessioni sulla rappresentativa spagnola che, presumibilmente, potrebbe adottare in chiave italiana alla guida della Virtus.

"Un segreto mio o della Spagna? Credo che non ce ne siano – commenta –. Il mio compito è migliorare chi mi circonda. Conoscere a fondo tutti e, attraverso la tecnica e la tattica, mettere in condizione un gruppo di rendere al massimo". Ma non è un segreto che dietro tanti successi possa esserci un lavoro fatto in profondità. "Lavoro – ammette – che si mescola con la passione, per le tante ore passate in palestra. L’altro ieri, attorno all’ora di pranzo, mi sono messo a seguire uno degli allenamenti della Virtus. E dopo averlo seguito ho mandato un vocale di 10 minuti ai miei assistenti". Sergio ha riportato impressioni e giudizi che ha subito trasmesso ai suoi collaboratori, per alzare il livello. Il tecnico batte su un tasto. "E’ un’operazione che ho portato avanti tutti i giorni in questo periodo, con l’eccezione di lunedì, all’indomani della vittoria all’Europeo. Questo perché fa parte del mio pensiero: voglio essere bravo, più che sentirmi dire da qualcuno che lo sono". Vuole ottenere il massimo da se stesso e pure dalla Virtus che, dopo quattordici anni, ha riportato in Eurolega. Ma tra la Spagna campione d’Europa e la ‘debuttante’ Virtus non ci sono punti di contatto. "Faccio fatica a trovare similitudini tra la nazionale e il club. Anche se, dal punto di vista personale, magari, c’è stato un arricchimento".

Guarda al presente, Sergio, e lo fa con la massima professionalità. Qualche mese fa, Valerio Bianchini, parlando di quello che era il suo assistente ai tempi di Pesaro, raccontò di come Sergio, quando le frontiere erano ancora chiuse, cominciasse già a studiare greco, ipotizzando un futuro all’estero. Che dopo il Canada (Nba), Spagna, Italia e Russia, Sergio cominci a studiare altre lingue? "Onestamente ho imparato a non programmare troppo il futuro. Ho la fortuna di poter scegliere, ma guardo al presente e alle motivazioni, tante, che ho alla guida della Virtus e della Spagna".

Dalla Spagna campione d’Europa, forse, potrebbe estrapolare un altro concetto: l’importanza del collettivo. "Questa Spagna, quella che ha vinto l’Europeo, alla vigilia era indicata all’ottavo posto in un power ranking Fiba che si basava sulla valutazione dei talento dei singoli". Da ottavi a primi, il passo forse non è stato breve, ma alla Spagna è bastato per tornare sul tetto d’Europa. "Quando riporto le previsioni della vigilia lo faccio senza ironia. Ma la pallacanestro è uno sport di squadra. Il collettivo ha dato quel qualcosa in più che il talento dei singoli non avrebbe garantito".

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