Una lunga cavalcata finita in modo perfetto

Dalle difficoltà iniziali in casa all’esonero rientrato di Djordjevic, alla delusione in Coppa: tutto cancellato da un finale a tinte tricolori

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di Massimo Selleri

Il cammino che la Virtus ha compiuto quest’anno è il classico esempio di come le cose funzionino nello sport e di come il "tutto e subito" non appartenga a questo mondo. Brutta in campionato e bella in coppa è la perfetta sintensi della prima parte della stagione, anche se poi il successo finale è stato raggiunto in Italia e non in Europa. Ma per arrivare ad alzare le braccia in segno di trionfo, la squadra di Djordjevic ha dovuto affrontare un viaggio carico di incognite.

Dopo la prima vittoria con Cantù la V nera ha perso 5 partite consecutive tra le mura amiche, gettando il sospetto che qualcosa non funzionasse, anche perché sulla carta squadre come Cremona e Reggio Emilia erano inferiore, ma la vera frittata è capitata con Sassari. Siamo al 6 dicembre dell’anno scorso e tutti si aspettano l’esordio di Marco Belinelli. E’ un’attesa che dura da 17 anni, vale a dire da quando il Beli ha lasciato la allora moribonda società bianconera prima per la Fortitudo e poi per la Nba dove ha conquistato anche un anello con i Lakers. Il ritorno, però, non viene celebrato sul campo perché il giocatore è infortunato, ma la cosa non viene comunicata neppure ai vertici virtussini.

La squadra non solo perde, ma fa anche una brutta figura e questo porta all’esonero di Sale Djordjevic e di tutto il suo staff. Sollevamento dall’incarico che dura meno di 24 ore, perché la squadra fa quadrato intorno al suo allenatore e non solo la coppia composta da Milos Tedosic e da Stefan Markovic ne chiede il reintegro a gran voce. Il tecnico serbo torna in panchina, ma si viaggia ancora a singhiozzo. Non ci sono problemi in EuroCup, dove si resta imbattuti fino al 9 Aprile, quando perderà a Kazan, con i russi che dopo sette giorni arrivano a Bologna e tornano a casa con una vittoria fermando la corsa della V nera sia verso la conquista del secondo titolo continentale, sia verso la partecipazione alla prossima Eurolega.

Il fatto di essere usciti ai quarti anche in Coppa Italia pone diversi dubbi sulla solidità del gruppo nel suo complesso e sulla sua capacità di stringere i denti. Dubbi che vengono amplificati in un finale di campionato dove la Virtus va sotto 0-2 negli scontri diretti sia con Brindisi che con Milano e lascia a tutti l’impressione che la lotta per la scudetto sarà una questione privata tra queste due squadre.

Non c’è molta fiducia sulla qualità del lavoro che viene svolto in palestra e la fine della stagione è attesa per iniziare a programmare il nuovo anno. Le prime due partite dei quarti di finale playoff non aiutano a spazzare via questo clima di incertezza, così come il primo tempo di gara 3, quando Treviso rifila 61 punti ai bolognesi. Cosa sia successo in quella lunga pausa entrerà nella leggenda.

I giocatori si sono guardati nella faccia, mentre Djordjevic con i suoi urli cercava di pizzicare le corde. Le versione sulla qualità del momento sono diverse e tutte molto condite, ma il risultato non cambia e da lì in poi la Virtus si è messa a difendere con continuità. La semifinale a Brindisi è il primo vero test che la squadra è riuscita ad alzare il livello del suo gioco dimostrando anche una notevole intelligenza.

Restando fedele ad un piano partita che punta a togliere agli avversari quella che è la loro arma principale, vale a dire il contropiede, in sole tre partite i pugliesi vengono liquidati, ribaltando quelli che erano i valori della regular season. Si arriva, quindi, imbattutti alla finale con Milano e anche in questa serie si conferma la simbiosi tra la squadra e il suo allenatore, con Teodosic e Markovic che da registi riescono a mettere in pratica quelle che sono le idee del loro allenatore.

Qui interviene anche un altro fattore, l’infortunio ad Amedeo Tessitori e la rinuncia volontaria a Josh Adams restringono le rotazioni e danno più minuti a chi fino a lì aveva un problema di fiducia. Si sbloccano definitivamente il capitano Giampaolo Ricci, Amar Alibegovic e Awudu Abass e il gioco è fatto.

Arriva lo scudetto numero 16 in 5 gare, un risultato insperato, frutto del lavoro svolto alla Porelli e della forza di non ascoltare le tante critiche, anche interne, che per tutto l’anno hanno accompagnato la squadra e chi la guidava tecnicamente. La dimostrazione che le sconfitte servono anche ai vincenti, che in questo modo hanno la possibilità di imparare dai propri errori.

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