
Vincenzo Italiano porta il Bologna alla finale di Coppa Italia, sfidando il Milan dopo 51 anni. Un traguardo storico.
La prima parola chiave è intensità: non si vincono le partite nei minuti finali, com’è successo anche giovedì notte con l’Empoli, se non ti accompagna fino all’ultimo la ferocia tecnica, atletica e mentale che sa inculcare solo un allenatore ‘top’. La seconda è empatia: nella testa dei propri calciatori e nel cuore di una città intera riescono a entrare solo quelli che poi lasciano un solco duraturo. Citiamo in ordine cronologico Maifredi, Ulivieri e Mazzone, omettendo i pur meritevoli Guidolin e Motta solo perché con la città, in tempi e modi diversi (e nel caso di Guidolin ricucendo poi lo strappo), i due entrarono in collisione. E poi c’è Mihajlovic, che nel cuore dei bolognesi c’è entrato con forza dirompente e per evidenti motivi non ne uscirà mai.
Il punto è che Vincenzo Italiano sta raggiungendo traguardi tecnici che i suoi illustri predecessori avevano solo sfiorato o parzialmente toccato. Quarto di questi tempi lo era un anno fa anche Thiago, ma questo Bologna a un quarto posto in campionato da difendere con i denti ha appena aggiunto la perla della conquista di una finale di Coppa Italia, la sfida del 14 maggio all’Olimpico col Milan, che a queste latitudini mancava da cinquantuno anni. Mazzone, per dire, ventisei anni fa portò il Bologna di Gazzoni a una semifinale di Coppa Uefa, ma la finale di Coppa Italia non riuscì ad acciuffarla.
Per Italiano invece quella col Milan sarà la quarta finale conquistata negli ultimi due anni. E pazienza se aver perso le precedenti tre alla guida della Fiorentina da giovedì notte probabilmente gli toglie il sonno. Mettiamoci nei suoi panni: dopo essersi fatto piegare all’ultimo atto nel 2023 in Coppa Italia con l’Inter (1-2 all’Olimpico) e nel 2023 e 2024 in Conference League per mano rispettivamente di West Ham (1-2 a Praga) e Olympiacos (0-1 ad Atene), la felicità che giovedì notte sul prato del Dall’Ara e in sala stampa gli sprizzava da tutti i pori è un sentimento che da qui al 14 maggio fatalmente si mescolerà al timore, che avrebbe il sapore di una maledizione, di uscire nuovamente da una finale a mani vuote. Evento che a priori non si può escludere quando sfidi un Milan folle, discontinuo ma potenzialmente fortissimo.
L’Uomo di Ribera però non si ferma davanti a nulla. Non lo ha fermato un anno fa la consapevolezza del rischio di ereditare una panchina scomoda e oggi non può frenarlo certo l’idea di affrontare in gara secca un Milan che due mesi fa ha già piegato (2-1) nel recupero del Dall’Ara. Da quell’8 luglio 2024, il giorno del raduno a Casteldebole, sono passati 292 giorni. E probabilmente non ce n’è uno che non abbia contribuito a modellare una stagione che oggi sarebbe ingeneroso etichettare come Miracolo Italiano. Nel suo percorso tecnico di miracoloso questo Bologna non ha nulla, poggiando sulla solidità di Saputo e sulle competenze di Fenucci, Sartori e Di Vaio, quest’ultimo fresco di rinnovo di contratto (fino al 2027).
Rinnovo è una parola chiave anche per Italiano, passaggio inevitabile per un allenatore che ha il contratto in scadenza tra un anno e gli occhi di tutti, Milan compreso, puntati addosso. Fenucci e Di Vaio gli hanno gettato pubblicamente l’amo e Vincenzo non chiede di meglio che ‘abboccare’. Qui non gli manca nulla: ora anche la possibilità di abbattere il tabù finali.
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