Virtus, Brunamonti diventa anche una piazza

Succede negli anni Novanta: un tifoso sostituisce la targa che porta il nome di Manfredi Azzarita con Roberto, capitano bianconero

di Alessandro Gallo

Si discute spesso sul fatto che ad Alessandro Fantozzi sia stato dedicato un impianto, a Capo d’Orlando, con il giocatore in vita. Forse non tutti ricordano che, almeno per qualche giorno, Roberto Brunamonti (nato a Spoleto il 14 maggio 1959) è diventato titolare di una piazza. Succede a metà degli anni Novanta – all’epoca del triplete tricolore bianconero – in Piazza Manfredi Azzarita. Al posto della targa che ricorda il militare e partigiano ucciso alle Fosse Ardeatine, compare, all’incrocio con via Nannetti, una targa nuova: ’Piazza Roberto Brunamonti, capitano bianconero’.

Questo per ricordare, una volta di più, quanto abbia inciso con il suo carisma, la sua leadership e le sue (poche) parole, uno dei più grande giocatori che abbiano mai indossato la maglia bianconera.

E che fosse un grande l’aveva intuito l’avvocato Porelli quando, orfano di Charlie Caglieris, che aveva deciso di far ritorno nella sua Torino, rompe gli indugi per acquistare, nel 1982, un play che avrebbe fatto la storia.

L’avvocato si presenta a Rieti – Brunamonti è nel giro della Nazionale, ha vinto una Korac con Rieti (1980) e l’argento con la maglia azzurra ai Giochi di Mosca 1980 – con una valigetta e due cartellini. I cartellini sono quelli di Maurizio Ferro e Alessandro Daniele. Nella valigetta 600 milioni (di vecchie lire) in contanti. Una valutazione superiore al miliardo (sempre di lire) per fare di Roberto Brunamonti il numero 4 per sempre.

Già, al momento dell’acquisto l’avvocato ancora non lo sa. Ma Roberto, oltre a vincere quattro scudetti, una Coppa delle Coppe, tre Coppe Italia (quattro considerando anche la breve parentesi da allenatore) e una Supercoppa, diventa poi il primo giocatore della storia della Virtus a veder ritirare, per sempre, la sua maglia. Il numero 4 è appeso alla volta del PalaDozza (e poi del PalaMalaguti) nel 1996 e da allora la bandiera sventola. Perché le bandiere non si ammainano. Mai.

Eppure Roberto arriva a Bologna senza ’sfondare’ subito. Sulle spalle il fantasma di Caglieris. Charlie piccolo, rotondo, pronto all’assist. E Roberto? Almeno quindici centimetri più alto, braccia lunghissime, un primo passo devastante e la capacità di penetrare sempre e comunque.

A Basket City il dubbio non è legato al fatto se Roby sia o meno un campione – lo è, e basta –, ma se sia più play o guardia.

Semplicemente Roby è il play del futuro: alto, veloce, capace pure di dare una mano a rimbalzo. Con Roberto, Bologna e la Virtus sono già nel futuro. Ma ancora non lo sanno.

Lo impareranno presto, perché Roberto gioca con la maglia numero 4 sulle spalle fino al 1996. Lo fa stringendo i denti, giocando con un’ernia del disco. Oppure facendosi male a Firenze, nel marzo 1990, quando la V nera allenata da Ettore Messina per la prima volta vince un trofeo internazionale. Abbracciato ai compagni, dopo aver lottato fino in fondo, Roby c’è.

E c’è sempre quando c’è da firmare qualcosa di particolare. Chi ha mai visto Roberto schiacciare? Nessuno? Errore clamoroso, perché, immagini o meno, Roberto una schiacciata la fa. E decide di regalarla a Bologna in una delle giornate più importanti di tutti i tempi per la storia della Virtus. E’ il 27 maggio 1984: la Virtus è in vantaggio su Milano, al Palazzone di San Siro, 74-75, ma Renzo Bariviera va in lunetta. Il milanese fa 02, Rolle conquista il rimbalzo, la Virtus fa girare il pallone. Fallo su Van Breda Kollf, Alberto Bucci rinuncia ai tiri liberi (all’epoca c’è questa opportunità), rimessa a metà campo. Pressing a tutto campo, D’Antoni si dimentica Brunamonti, Van Breda lo serve, Roby corre verso il canestro e schiaccia il +3. Il tiro da tre punti non è ancora stato introdotto: Roberto può rivolgere lo sguardo allo spicchio bianconero e mostrare il braccio, esultante. Un predestinato, insomma. Che quando Villalta prende la strada di Treviso diventa il capitano. Così radicato che i Forever Boys stravolgono persino un coro. A Bologna, sponda bianconera, non si canta "C’è solo un capitano", ma "C’è solo un Brunamonti". Un coro che sarà scherzosamente cancellato quando Matteo Brunamonti, il primogenito di Roby, finirà a referto, a Trieste, nel 1999.

Al di là di Matteo, però, c’è sempre stato un solo Brunamonti. Che in Spagna, quando gioca, chiamano ’El legendario’ (San Epifanio su tutti). O ancora, ricordate le parole di un poco più che imberbe Sasha Danilovic? "Vengo a Bologna e voglio la Virtus perché intendo giocare con Roberto Brunamonti".

E se non vi basta Danilovic, giochiamo il jolly. Vi dice nulla il nome di Michael Jordan? Beh, MJ, che tra le mille attività ha aperto anche un ristorante a Chicago, chiede e ottiene, a metà degli anni Novanta, la canotta numero 4. Quella che ha il nome Brunamonti sulle spalle.

Dopo aver vinto tanto come giocatore, rimpolpa i suoi numeri con altri due scudetti, due Euroleghe e tre Coppe Italia da vice presidente. Bianconero fino in fondo come quando, nel marzo 2002, rassegna le dimissioni. Perché Marco Madrigali ha appena esonerato (salvo poi ripensarci) Ettore Messina.

Sì, c’è solo un Brunamonti. Che fortuna e che onore aver avuto la possibilità di vederlo giocare dal vivo. E conoscerlo di persona.

Un grande? No, quantomeno un grandissimo. E sicuramente unico.

(25. continua)

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro