Gigi Serafini morto, Virtus Bologna piange la sua bandiera

Aveva 69 anni. Dall'alto dei suoi 210 centimetri fece brillare la Vu Nera di Dan Peterson e dell'avvocato Porelli

Renato Albonico con Gigi Serafini in una foto d'epoca

Renato Albonico con Gigi Serafini in una foto d'epoca

Bologna, 23 agosto 2020 – Ci ha lasciato un Gigante della pallacanestro. Luigi 'Gigi' Serafini aveva compiuto da poco 69 anni. Era nato a Casinalbo, in provincia di Modena, il 17 giugno 1951. Scoperto per caso – a quindici anni era già un gigante – da Nino Calebotta, è stato una bandiera della Virtus e, fino all'ultimo, i colori bianconeri lo hanno accompagnato e gli hanno tenuto compagnia. Come gli amici e l'affetto dei suoi cari, dalla moglie Lella alle figlie Michela e Roberta.

Era malato da più di un anno, combatteva con coraggio, come quando, sul parquet, in piazza Azzarita, usava i gomiti e la stazza per prendere vagonate di rimbalzi. Per piazzare dei blocchi micidiali per liberare al tiro Gianni Bertolotti. Per raccogliere gli assist al bacio che gli serviva Charlie Caglieris, che Gigi, affettuosamente, dall'alto dei suoi 210 centimetri, chiamava “il Nano”. Per segnare canestri per la gioia di Dan Peterson.

Già, perché Gigi, se riavvolgiamo per un attimo i ricordi che ci riportano agli anni Settanta, è stato uno dei punti di forza della Virtus di Dan Peterson e dell'avvocato Porelli.

In bianconero dal 1968 al 1977 con 229 partite e 2.821 punti, avendo anche l'onore di essere capitano della squadra. Con lui la Coppa Italia nel 1974, primo trofeo bianconero dell'era moderna, e soprattutto lo scudetto del 1976. Lui, Caglieris, Antonelli, Bertolotti e Driscoll. Il quintetto dei sogni (quando i panchinari giocavano davvero poco) con l'aggiunta di Bonamico, Martini e Valenti.

Sempre alla mano, sempre disponibile. Sempre in prima fila (con l'approccio giusto) quando si trattava di parlare della Virtus, della sua Virtus. Nella pallacanestro – è stato anche un Nazionale – era rimasto. Perché è stato presidente dell'Atletico Basket, società della prima periferia bolognese e perché si occupava come rappresentante di attrezzature sportive e di parquet.

Tanti compagni di squadra, tanti amici. Non solo i ragazzi dello scudetto, ma anche gli americani degli anni precedenti, da John Fultz a Tom McMillen. Quando c'era una riunione di vecchie glorie, il sorriso di Gigi era il più accattivante, il più convinto. Perché si percepiva benissimo che i canestri erano il suo mondo e quelli erano i suoi amici, dai quali non si sarebbe mai separato.

Ciao Gigante Buono.

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