Fallimento Cesena calcio, Ceccarelli: "Io innocente, ero lì per fede bianconera"

Parla l'ex calciatore e allenatore coinvolto nell’inchiesta sul fallimento della vecchia società AC Cesena

Giampiero Ceccarelli con un gadget del Cesena in Uefa

Giampiero Ceccarelli con un gadget del Cesena in Uefa

Cesena, 15 aprile 2019 - La procura della Repubblica di Forlì sta indagando sul fallimento dell’AC Cesena, dichiarato dal tribunale di Forlì il 9 agosto dell’anno scorso per l’impossibilità della spa di fare fronte agli 85 milioni di debiti, circa metà dei quali col Fisco. Un fascicolo riguarda l’ex presidente Giorgio Lugaresi, il presidente del Chievo Verona Luca Campedelli e l’ex calciatore e allenatore Giampiero Ceccarelli, storico capitano del Cesena e beniamino dei tifosi. Bancarotta fraudolenta, utilizzo di fatture false e infedeltà patrimoniale sono i reati ipotizzati soprattutto in relazione alle plusvalenze fittizie realizzate con la compravendita di calciatori per cifre di molto

superiori alla valutazione di mercato. La giustizia sportiva era già intervenuta con pre punti di penalizzazione per il Chievo e tre mesi di inibizione per Luca Campedelli. Per il Cesena ci fu una penalizzazione di 15 punti, ma ormai la società era fallita.

“Vai a fare del bene alla gente...”. A scandire il detto dell’antica saggezza contadina è uno sconsolato Giampiero Ceccarelli, che compirà 71 anni tra una settimana, quando racconta di sentirsi totalmente estraneo alle accuse che gli vengono mosse dalla procura della Repubblica di Forlì, in relazione al fallimento dell’Associazione Calcio Cesena. Nello studio del suo avvocato difensore Giovanni Principato, nel centro storico di Forlì, risponde volentieri alle domande.

Ceccarelli, perché il suo nome è finito nel registro degli indagati?

“Non lo so! Mi è caduta la casa addosso quando mi è arrivata la richiesta di proroga delle indagini che riportava di reati compiuti a Cesena e Verona, e poi ho letto l’articolo del Carlino. Ma io non ci sono neppure mai stato a Verona, negli ultimi anni. Da allora, in ogni caso, faccio fatica a prendere sonno”.

Che ruolo aveva nell’Ac Cesena?

“Mi avevano chiesto di entrare nel consiglio d’amministrazione perché sono stato il capitano storico del Cesena, tutti mi conoscono in quanto ho giocato a calcio da quando avevo otto anni ed ero benvoluto dai tifosi”.

Chi rappresentava nel Cda?

“L’associazione ‘Cesena per sempre’, che avevamo creato nel 2014

insieme a un gruppo di tifosi per aiutare la squadra. In effetti in pochi anni con tante iniziative, tipo cene e tombole, abbiamo raccolto 250mila euro che abbiamo versato alla Spa. Insieme a me nel cda a rappresentare ‘Cesena per sempre’ c’erano Roberto Desiderio, SamueleMariotti e Roberto Checchia”.

Il suo era anche un ruolo tecnico?

“Sì, preparavo la scheda della squadra che il Cesena avrebbe affrontato dopo una settimana, e che il lunedì o il martedì consegnavo al direttore tecnico Rino Foschi”.

Percepiva uno stipendio per questo?

“No, soltanto il rimborso delle spese”.

Cosa sapeva lei delle plusvalenze?

“Nulla, non trattavo la compravendita dei giocatori a nessun livello”.

Di cosa parlavate quando si riuniva il consiglio d’amministrazione?

“Di calcio, delle partite fatte e da fare, della necessità di salvarci, di non retrocedere in serie C. Nessuno riferì a me e ad altri consiglieri, formalmente o informalmente, della crisi finanziaria. Solo nell’ultimo mese prima del tracollo il revisore Stefano Bondi ci disse che c’erano problemi finanziari. Solo dopo i fatti ho saputo che c’erano riunioni informali con alcuni membri del cda, alle quali io non partecipavo. Probabilmente era in quella sede che parlavano dei problemi amministrativi e finanziari”.

Nel Consiglio d’amministrazione lei aveva anche il ruolo di amministratore?

“Tutti eravamo soci amministratori”.

E le capitava di firmare anche dei documenti?

“Sì, è capitato che in segreteria mi dicessero di firmare alcuni documenti, ma non sapevo neppure cosa fossero. Mi dicevano che erano documenti di routine e io mi fidavo”.

E invece...

“Pare che abbia firmato anche una dichiarazione dell’Iva che mi dicevano che sarebbe stata pagata. Quando chiesi spiegazioni mi dissero che il debito per l’Iva era inferiore a centomila euro”.

Come mai?

“Non lo so, io eWalter Casadei abbiamo scoperto il 28 giugno dell’anno scorso che l’Iva non veniva versata da anni. Ci dissero che servivano sei milioni di euro per mettere le cose a posto. Ma chi li aveva sei milioni? Ho capito allora che io e altre persone eravamo state ingenue a fidarci nel nome della nostra passione bianconera”.