Ascanio Celestini, le barzellette a Longiano. "Vi dimostro che si può ridere su tutto"

Con l’attore romano stasera alle 21 parte la stagione del teatro Petrella

Ascanio Celestini

Ascanio Celestini

Longiano, 27 ottobre 2018 - Si apre con la genialità di Ascanio Celestini la nuova stagione del teatro Petrella di Longiano dal nome ‘In viaggio’. Il sipario si alza stasera alle 21 su Barzellette , spettacolo presentato in anteprima nazionale e tratto dall’omonimo libro scritto dall’attore romano che porta in scena una carrellata di storielle popolate da naufraghi, carabinieri, politici, scienziati, preti, suore, musulmani, suocere e amanti. Insieme a lui sul palco si esibisce anche Gianluca Casadei che lo accompagna con musiche eseguite dal vivo.

Celestini, cosa la colpisce delle barzellette? "La barzelletta è un racconto orale non differente dalla fiaba. È una letteratura non scritta, sembra paradossale scriverci un libro, eppure è così che impariamo le fiabe, proprio leggendole. Ho deciso di raccogliere barzellette collocandole all’interno di una storia. In questo modo sono ricontestualizzate dentro una cornice che si presta bene per uno spettacolo".

Le ha anche inventate o solo raccolte? "No, è impossibile inventarle. Esattamente come le favole o le fiabe, non si possono inventare perché hanno una struttura da rispettare. È già estremamente affascinante avvicinarsi ai racconti esistenti che non avrebbe senso inventarli".

Le barzellette bisogna anche saperle raccontare. E se non fanno ridere? "Possono non far ridere certo, ma il punto è un altro. O si capiscono o non si capiscono, perché non si possono capire a metà. La comprensione deriva dall’attualità. Nello spettacolo c’è una barzelletta sulla vecchia Unione Sovietica. Prendo atto che un quindicenne potrebbe non capirla".

Al tempo dei social si ride diversamente. Diventano virali meme e video più o meno divertenti che vengono costantemente ricondivisi, ma alla fine se si ride lo si fa da soli, non si condivide più fisicamente il momento. L’arte di saper raccontare rischia di perdersi? "Spero proprio di no. Non voglio dire che ridere da soli sia impossibile, ma sui social tutto si riduce a trenta secondi e una barzelletta non può esistere in un lasso di tempo così breve. Raccontare barzellette implica che due persone si incontrino, si parlino e si dedichino del tempo. Spero duri per sempre. Finisce il gioco se non si ha tempo per giocare".

Le barzellette sono irriverenti per definizione. Le sue trattano anche temi scottanti come il razzismo, gli ebrei, i migranti e la pedofilia. Si può ridere su tutto? "Secondo la mia opinione personale sì. È fondamentale la discrezionalità e credere nella buona fede di chi racconta, ma tutti gli argomenti possono essere affrontati. Una barzelletta violenta fa sì che io sia violento solo in quel contesto, non nella realtà".

Una sua battuta all’interno del libro recita: ‘Qual è la differenza tra tragedia e catastrofe? Tragedia è quando si rovescia un barcone di migranti, catastrofe quando sanno nuotare e si salvano tutti.’ Parlare in certi termini può aiutarci a riflettere su alcune questioni e capire anche quanto odio c’è in ciascuno di noi? "Sì, serve anche a farci riflettere. Questa in particolare può essere rifer ita non solo ai migranti, ma a ciascuna categoria. Non si deve guardare male la battuta, ma il razzismo".

Sono anni ormai che è di casa in Romagna e qui ha fatto le prove per realizzare lo spettacolo che debutta ufficialmente il 5 novembre al Roma Europa Festival. "Al Petrella torno sempre volentieri per l’accoglienza del posto. L’Italia è piena di teatri ed è un bene. Non funzionano più come un tempo, ma rimangono una grande opportunità per periferie e province. Per usufruirne dobbiamo starci fisicamente e in questo modo si arricchisce la società. Senza demonizzare la rete, ma se perdiamo uno spettacolo dal vivo siamo un po’ meno vivi anche noi".