Cesena, 18 marzo 2011 - Lo sguardo è verso il mare, verso il portocanale della sua Cesenatico: per lui sono sempre stati ancore sicure, generatori di serenità diffusa. Ma ora non può essere così, infatti non lo è. Alberto Zaccheroni ha l’animo in tumulto, ‘spaccato’ dal dolore e spinto dalla voglia matta di dare una mano a quel Giappone che conosce dall’agosto scorso, quando è diventato ct della nazionale, ma gli è già entrato nel cuore. Adesso ancora di più, dopo la catastrofe . Il tecnico che ha condotto a gennaio i nipponici alla conquista della Coppa d’Asia, è rientrato in Romagna domenica sera ma freme già per ripartire, per tornare là nel disastro dove rischi e timori non sono certo esauriti. E lo dovrebbe fare presto.

Mister, chi può sta lasciando il Giappone, lei invece è pronto per il percorso inverso: come mai?
"Lo voglio fare. Ero convinto fosse possibile già mercoledì scorso poi la Federazione mi ha detto di aspettare un momento. Dovrei prendere l’aereo mercoledì prossimo, al massimo giovedì. Il 29 marzo infatti con la nazionale disputeremo a Osaka un’amichevole per beneficenza. Avremmo dovuto affrontare la Nuova Zelanda, invece sfideremo una selezione dei migliori giocatori del campionato".

Scusi, la situazione è ancora molto delicata, perchè vuole tornare?
"Per dare una mano, con il calcio che è il mio lavoro. Sono convinto che anche il pallone possa offrire un contributo per la risalita. Sono comunque a disposizione di quel popolo, mi dicano solo come posso essere utile".

È una chiara dichiarazione d’amore.
«D’affetto, di rispetto. In questi sette mesi ho conosciuto i giapponesi, sono rimasto conquistato dal loro senso del dovere, dallo spirito di sacrificio, dalla dignità».

Lei è tornato a casa per tranquillizzare la famiglia, ora come si sente?
«In ansia, tanto. Seguo costantemente la tv, regolarmente mi sento con la Federazione giapponese, con i miei collaboratori nipponici. La situazione non è per niente chiara».

Cosa le dicono?
«Che le emergenze da affrontare sono soprattutto le centrali nucleari, il pericolo radiazioni e le ricerche dei dispersi. È una catastrofe che ha ripercussioni su tutto il mondo, che ha coinvolto tutti»

Lei comunque più di tanti altri.
«Naturale, ero nel mio appartamento di Tokyo quando la terra ha tremato: in casa cadevano armadi e suppellettili, in strada si spostava l’asfalto. Io poi non ero mai rimasto coinvolto in un terremoto».

Scusi, ma cosa le è rimasto dentro di quella gente tanto da non vedere l’ora di ritrovarla?
«Il senso dell’ordine, dell’organizzazione, del rispetto. Le racconterò due episodi per rendere bene l’idea. Uno è accaduto dopo il sisma, l’altro è precedente».

Dica pure.
«Ho visto personalmente gli addetti dei supermercati consegnare la merce senza farsi pagare. Sapevano benissimo che la gente, passata la fase d’emergenza, tornerà a saldare i conti»

E l’altro?
«Questo invece fa parte della nazionale, del modo di pensare dei giocatori. Quando siamo rientrati dalla Coppa d’Asia, all’aeroporto ho visto fiondarsi verso il ‘tapis rulant’ dei bagagli oltre i magazzinieri, come è consuetudine ovunque, gli stessi calciatori per trasportare le valigie e non solo quelle personali».

Quindi è proprio in partenza nonostante i tanti problemi.
«Guardi non sono un eroe, sono in ansia e molto preoccupato. Ma voglio aiutare quelle persone: in che modo me lo diranno loro».