Cesena, 22 settembre 2011 - LA STORIA di Gilberto Zangheri è scritta in una pila di fogli accumulati sul tavolo della cucina di un appartamento che dalle sue finestre guarda verso l’Ippodromo. Domande e risposte, tutte negative. Ricorsi e bocciature. Gilberto Zangheri ha lavorato per 25 anni all’interno degli zuccherifici, quello cesenate prima, quello di Forlimpopoli, dopo. Nel 1989 è andato in pensione, dopo aver trascorso un quarto di secolo a fare manutenzione ai reparti di evaporazione. In mezzo all’amianto. Ma questo non è bastato a garantirgli l’indennizzo che la legge attribuisce ai lavoratori che hanno trascorso parte della loro vita a contatto con le particelle tossiche.

ZANGHERI, che ha superato la soglia degli ottant’anni, dal 2002 combatte una guerra che per ora è fatta solo di battaglie perse. Parla seduto davanti ai suoi fogli, col nipotino che gioca nel divano e due amici ed ex colleghi di lavoro al fianco, che con gli occhi rossi e gli sguardi stanchi, ascoltano e annuiscono.
«Quando sono andato in pensione – comincia — per chi aveva lavorato a contatto con l’amianto non erano previsti pagamenti extra. Le cose però cambiarono poco tempo dopo, nel 1992, quando una legge istituì gli indennizzi. All’inizio non mi interessai della faccenda: capii che l’effetto era retroattivo solo nel 2002 e così, tramite il mio sindacato, scrissi all’Inps».

Due anni dopo arrivò la risposta, negativa. «Sulla lettera era scritto che quella legge non mi riguardava. Feci ricorso e vinsi. Mi aspettavo che la faccenda fosse chiusa e invece da Roma arrivò una nuova giustificazione alla bocciatura: non ero stato esposto all’amianto nella misura prevista dalla legge. Leggere quelle parole è stato mortificante. Ricordo il posto dove lavoravo, davanti a una caldaia danneggiata dai bombardamenti della guerra e mai riparata completamente. All’interno c’era l’amianto. Eravamo in mezzo al pulviscolo, c’era una gran puzza, faceva caldo e non si riusciva a respirare. L’uomo che lavorava accanto a me è morto per problemi causati dall’esposizione all’amianto. Era spalla a spalla alla mia. Che vuol dire che io non sono stato esposto nella misura prevista dalla legge?».

LE RICHIESTE di Zangheri sono continuate, così come le risposte negative. Nonostante le testimonianze portate dal pensionato, nonostante le certificazioni e le tante lettere spedite. Solo porte chiuse. «Ho provato a rivolgermi a tre diversi avvocati, ma nessuno di loro ha voluto prendere in esame il mio caso. Ci sono tempi troppo lunghi, dicono. Intanto gli anni passano e non so più a chi rivolgermi per chiedere giustizia. Capisco che le richieste sono tante e che i fondi pubblici in questo momento scarseggiano, ma sono stanco di sentirmi ignorato. Come me ci sono tante altre persone che tentano di far valere i loro diritti, tra visite mediche e colloqui incalzanti. Vivo nella consapevolezza che da un giorno all’altro potrei iniziare ad accusare sintomi sospetti. L’ultimo funerale di un mio collega c’è stato tre mesi fa. Il giorno seguente andai all’ufficio dell’Inail con ancora il suo ricordino in tasca. Mi sono sfogato, ho urlato e ho pianto. Come risposta ho ottenuto un bicchiere d’acqua. Devo ammalarmi per vedere riconoscere i miei diritti?»