Cesena, 17 aprile 2012 - Nella Cesena ormai da anni multietnica non solo nella popolazione (oltre 9.500 stranieri su circa 97.400 abitanti), ma anche nella distribuzione commerciale — con i cinesi che hanno funto da battistrada nella scorsa decade — il fenomeno nuovo ora sono i negozi di gerenti di varie etnie con prodotti del paese di provenienza.

Rumeni, russi, cinesi, indiani, africani, pakistani e di altre nazionalità orientali, ubicati nei paraggi del centro in bugigattoli o comunque locali di poco pregio e attrattività, i quali calamitano per lo più gli acquirenti delle rispettive etnie. Non siamo nella situazione di Parma dove il sindaco è giunto a lanciare l’allarme sul fatto che il fenomeno possa stravolgere l’identità di alcuni quartieri cittadini, ma anche qui a Cesena queste attività di gastronomia e generi alimentari, in cui la mercanzia si confonde con oggetti e chincanglieria varie — come gli empori di un tempo (ma con ben altra atmosfera e senso identitario) — hanno ormai una estesa visibilità.
 

Un fenomeno, però, molto residuale, a livello di business e i dettaglianti alimentari del Cesena non è certo di questa concorrenza che sono preoccupati. "Diciamo che non temiamo la concorrenza di questi negozi — osserva Vanni Zanfini, presidente della Confesercenti cesenate, alimentarista — per molte ragioni: la prima è che la qualità dei nostri prodotti non teme confronti. In secondo luogo perché la gastronomia per i cesenati e romagnoli è una questione prioritaria e identitaria insieme e quindi non sono clienti di questi esercizi, dove magari si possono servire una o due volte per curiosità, ma senza fidelizzarsi. Di certo — prosegue Zanfini — un dato di fatto è che negli ultimi tempi sono diminuiti i clienti stranieri e immigrati dei nostri punti vendita al dettaglio alimentare anche perché stanno sorgendo come funghi questi spacci per così dire etnici: Ci risulta però che abbiano una vita media molta corta. Spesso non passano l’anno neppure l’anno". Si tratta, però, di negozi che hanno una funzione sociale e fungono come luogo di approdo e di socializzazione per gli acquirenti della stessa nazionalità.


Sotto il profilo più strettamente sociologico non sono neppure il massimo, questi negozi, per l’integrazione, visto che si configurano come vere e proprie isole alimentari. "Queste analisi non spettano a noi — prosegue Zanfini —, ma non c’è dubbio, per quel che mi compete, che l’integrazione alimentare di molte etnie, anche per ragioni strettamente religiose, è tutta da realizzare".


"Questi negozietti di solito aprono e chiudono nel breve volgere di poco tempo — ribadisce Giancarlo Andrini, presidente degli alimentaristi Fida Confcommercio e decano dei dettaglianti alimentari di Cesenatico dove conduce il negozio in via Fiorentini che quest’anno festeggerà i 60 anni di attività —. Anche a Cesenatico hanno aperto quello russo e rumeno, ma non mi pare con largo seguito. Va detto, in ogni caso, che molti stranieri residenti nel nostro territorio comprensoriale si recano principalmente nei discount o agli iper e debbono ancora scoprire il rapporto fiduciario più diretto con il negoziante. Dal canto mio, ho una buona clientela romena, che si è formata anche con il passaparola. Fenomeni di cesenaticensi o cittadini del posto che tradiscono prodotti locali per i salumi russi o le pietanza rumene, orientali o cinesi mi sono per la verità del tutto sconosciuti".


Insomma: il fenomeno, che è anche un po’ figlio dell’arte di arrangiarsi, intercetta frange di domanda marginale, in gran parte delle stesse comunità di immigrati. Un’economia a parte rispetto al commercio ordinario delle città.
"Il futuro di questi negozi? Bisognerà vedere — dice il direttore Confcommercio Giorgio Piastra — difficile che escano dalla residualità. L’importante è che siano rispettate tutte le regole".
 

Negli ultimi anni sono state varie decine i negozi aperti gestiti da stranieri, che si sono innestati sullo zoccolo duro degli esercizi pubblici di ristorazione cinese, i primi avamposti commerciali con gli occhi a mandorla presenti a Cesena da circa vent’anni, con alterna fortuna. Ammontano invece al 25% delle 250 bancarelle del mercato ambulante quelle gestite da stranieri, per lo più cinesi, asiatici e africani. L’Ufficio commercio del Comune non dispone invece del dato estrapolato da negozi e pubblici esercizi gestiti da stranieri che nel Comune sono varie centinaia.
 

 

di Andrea Alessandrini