Addio alla scuola, l’attaccamento dei ragazzi

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C’è un frangente, un attimo fugace e insieme interminabile, che non può sfuggire agli insegnanti a cui gli studenti stanno a cuore. Terminato l’orale dell’esame di maturità, dopo aver risposto alla domanda di rito su quale sarà la strada in cui si inoltreranno dopo l’estate, i ragazzi guadagnano l’uscita: c’è chi lo fa in fretta per scrollarsi di dosso lo stress accumulato, chi indugia nonostante i compagni lo attendano in cortile per festeggiarlo, e chi indietreggia a passi stentati, quasi non volesse recidere il cordone ombelicale. È l’istante liberatorio e struggente in cui i ragazzi se ne vanno. Loro passano, la scuola resta. E allora si dice, convintamente: "Venite a trovarci, questa resta casa vostra anche dopo". Non è retorica. La scuola diventa come una cara zia: sai che c’è sempre, ci fosse un bisogno, il desiderio di fare quattro chiacchiere con un prof, condividere gli esiti degli esami universitari, avere una dritta su aziende che cercano personale. L’impressione è che tutto questo i ragazzi lo avvertano, se sono stati bene accompagnati nel percorso, e che siano molto più legati alla scuola più di ciò che sembra. Non lo manifestano? Lo si può captare, con gli occhi giusti. Quanto agli esami come occasioni di vita, come le definisce felicemente il lettore, un piccolo contributo: due studentesse cesenati non ammesse, che dovranno ripetere l’anno, sono andate ad assistere all’orale di due compagne di classe che le hanno coinvolte. Invito porto e invito accolto: che prova di maturità.