
A sinistra Alessandro Besentini (Ale), a destra Francesco Villa (Franz)
La loro ‘panchina’ è un’icona della comicità italiana, un piccolo monumento generazionale. Chi li seguiva a cavallo fra gli anni Novanta e i Duemila li ricorda per le situazioni paradossali che portavano in scena e per i surreali fraintendimenti verbali che animavano i loro dialoghi. I più giovani li hanno riscoperti online, nei podcast, o su RaiPlay, nel recente programma ‘RaiDuo’, in cui ripercorrono i loro personaggi più iconici. Oggi, a 31 anni dal debutto, Ale e Franz tornano sul palco con uno spettacolo che unisce passato e presente, risate collaudate e nuove scintille di comicità. Appuntamento domenica alle 21 alla Rocca Malatestiana di Cesena, per una serata che si preannuncia speciale, stando alle parole di Alessandro Besentini, metà del duo comico milanese.
31 anni insieme sul palco: che emozioni si provano oggi? "È passato tanto tempo, ma l’emozione, l’impegno e persino la paura sono gli stessi del primo giorno. Artisticamente, è come se fosse ancora il nostro debutto".
Come siete riusciti a rinnovarvi, senza perdere identità? "L’identità resta il punto fermo: è il nostro modo di vedere le cose, di scrivere, di ridere. Da lì non ci siamo mai allontanati. Ma dentro questa cornice, troviamo ogni volta nuovi modi per raccontare, nuove declinazioni. È così che ci rinnoviamo restando noi stessi".
La vostra ‘panchina’ è diventata un cult. Come spiegate il suo successo? "La panchina non è un luogo fisico. È un simbolo dell’incontro quotidiano: può essere il dentista, la fila al supermercato, il benzinaio. Il personaggio che interpreto dà voce a quella insofferenza che tutti proviamo quando qualcuno, tipo Franz, ci assilla con troppe parole. È lì che scatta l’identificazione, ed è per questo che funziona ancora oggi".
Com’è cambiato oggi il modo di fare comicità? C’è un giovane artista che vi piace particolarmente? "In fondo, la comicità ha sempre lo stesso scopo: far ridere. Stanlio e Ollio ci strappano ancora una risata, no? Di giovani bravi ce ne sono tanti. Noi siamo co-direttori artistici del Festival di Troisi, lì vediamo ragazzi molto promettenti. Anche in tv abbiamo voluto portarne alcuni: ci piace seguirli e sostenerli".
Il vostro spettacolo prevede anche momenti di improvvisazione? "L’improvvisazione è il cuore del nostro lavoro: senza di essa, non potremmo nemmeno scrivere i testi. Quest’estate vogliamo interagire con la platea, far nascere battute dal momento. Le arene estive, come la Rocca di Cesena, si prestano benissimo. Il contatto col pubblico rende tutto più vivo, più vero".
Dopo teatro, tv, cinema, libri e podcast… cosa vi manca ancora? "Non se ne ha mai abbastanza. È come chiedere a un calciatore che ha vinto la Champions se vuole continuare. La risposta è sì. Ogni mezzo ha il suo fascino, e ogni volta è un nuovo inizio". Che rapporto avete con il pubblico romagnolo? "Bellissimo. La nostra prima volta su un palco teatrale è stata sulle vostre colline, a Longiano. Da allora la Romagna è casa per noi: prove, allestimenti, amicizie. Quando torniamo qui è come tornare alle origini. Per questo siamo felici di esserci e speriamo di lasciare al pubblico cesenate un ricordo divertente, pieno di voglia di stare insieme e ridere. Che poi, alla fine, è la cosa più seria di tutte".