Alzheimer e Parkinson, il dottor Longoni: "Aumentano i casi"

Il primario di Neurologia del Bufalini: "Saliti a 250 per 100mila abitanti, lavoriamo per attaccare la patologia"

Medici in ospedale (foto generica)

Medici in ospedale (foto generica)

Cesena, 5 maggio 2022 - Le diagnosi legate alle malattie neurodegenerative aumentano e contestualmente si abbassa l’età nella quale vengono rilevate le prime tracce patologiche. È il quadro emerso nei giorni scorsi in occasione della giornata mondiale dedicata al Parkinson e i riscontri messi nero su bianco in ambito planetario ricalcano anche il quadro della situazione di casa nostra.

"In effetti – spiega Marco Longoni, direttore dell’unità operativa di neurologia degli ospedali Bufalini di Cesena e Pierantoni di Forlì – i numeri sono significativi, dal momento che parliamo di una prevalenza di 200-250 casi per 100mila abitanti. Le ragioni di questo fenomeno sono varie e non necessariamente negative. Per prima cosa in effetti è giusto sottolineare la sempre più capillare ed efficiente rete sanitaria: siamo in pratica più bravi ad ‘andare a caccia’ dei sintomi, nell’ottica ormai consolidata che la tempestività delle diagnosi è sempre un importante punto di partenza per quello che riguarda la terapia. A questo c’è da aggiungere il fatto che il costante invecchiamento della popolazione porta per forza di cose a un maggior numero di malattie neurodegenerative individuate. Il tema non riguarda soltanto il Parkinson, ma anche l’Alzheimer, per esempio". Le statistiche mediche indicano che l’incidenza della patologia è fondamentalmente concentrata nella fascia di età tra i 50 e i 70 anni, anche se in effetti già a partire dai 40 in certi casi è possibile individuare i primi segnali prodromici attribuibili alla malattia.

"Anche in questo caso serve essere chiari – riprende Longoni – e specificare che le malattie neurodegenerative non portano al decesso: i dati indicano che la quantità di vita non viene ridotta, ma che ad essere segnata è la sua qualità. Notizia incoraggiante? I passi avanti ci sono stati fatti e sono indiscutibili, ma semplificare non è mai corretto, soprattutto in ambiti come questo nei quali gli effetti della patologia sono decisamente impattanti sia per chi ne soffre che per chi gli sta attorno. A oggi non c’è ancora un farmaco che possa dimostrarsi specificatamente risolutivo nel trattamento, pur avendo a disposizione alcuni medicinali che hanno indubbi effetti sul rallentamento della malattia, soprattutto in relazione alle diagnosi precoci. La sfida con la quale ci stiamo misurando - e in relazione alla quale, nell’ottica dei prossimi anni, sono decisamente ottimista – riguarda invece la possibilità di compiere passi decisivi proprio nell’attacco alla patologia vera e propria".

Non ci sono consigli particolari legati a possibili attività di prevenzione, anche se resta universalmente valido il principio che corretti e sani stili di vita non possono che essere di giovamento all’organismo. "In ogni caso – chiude Longoni – non c’è soltanto il Parkinson: persone tra i 75 e gli 80 anni che si trovano affette da tremori probabilmente hanno a che fare prima di tutto con problematiche cardiovascolari, che per essere prevenute e tenute a bada fin da età più giovani trovano validissimi alleati nella sana alimentazione e nell’attività fisica".