Cause ferme per il virus, avvocati in profondo rosso

Più di un terzo dei legali cittadini ha richiesto i 600 euro del Governo. "Siamo liberi professionisti: senza lavoro niente introiti, ma i costi restano".

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di Annamaria Senni

Più di un terzo degli avvocati cesenati ha usufruito del bonus di 600 euro per due volte, ma non sempre gli aiuti concessi dallo stato per l’emergenza legata al Coronavirus sono bastati per fronteggiare le tante spese dei liberi professionisti. Tra gli studi legali cesenati in pochi hanno voglia di metterci la faccia, ma quasi tutti condividono una forte preoccupazione. "Stiamo facendo meno udienze e riceviamo meno clienti – conferma un giovane penalista –, più della metà delle udienze in tribunale vengono rinviate e per questo sono sensibilmente diminuiti i profitti della nostra attività professionale. Le spese ovviamente non si volatizzano, come il canone mensile di locazione e lo stipendio della segretaria, e nell’ipotesi non auspicabile che la situazione non cambi dovrò valutare l’eventualità di un licenziamento della mia collaboratrice. In più il fatto che il governo ha rinviato i pagamenti per la cassa forense e per le tasse della professione a settembre e a dicembre, significa che i nodi arriveranno presto al pettine e che i veri danni da Covid-19 per le nostre tasche devono ancora arrivare perché non potremmo sfuggire al pagamento".

Difficoltà anche per i civilisti che sostengono che le udienze da remoto sono complicate e si dichiarano pronti a riprendere in sicurezza. "Gli avvocati non si sono mai fermati del tutto – spiega l’avvocato Stefano Spinelli –, anche se l’attività dei tribunali è stata ridotta al minimo. Alcune udienze vengono rinviate, altre svolte solo a livello cartolare (cioè col deposito di memorie) e le più urgenti in video conferenza. Solo ultimamente c’è stata una timida ripresa. È importante che i processi riprendano a svolgersi nelle aule di giustizia, pensiamo solo all’assunzione di una prova testimoniale che ha molta più rilevanza se fatta in presenza del testimone".

La situazione è dunque difficile, i tribunali molto lenti con un’attenzione maniacale ai protocolli: l’uso delle mascherine, l’igienizzazione e la distanza. "Se prima del virus i giudici tenevano 25 udienze in una mattina – spiega un membro del consiglio dell’ordine di Forlì-Cesena – ora se ne fanno 5 o 6 al giorno. Gli orari sono ferrei e si privilegiano i processi delicati con detenuti o con reati di particolare gravità sociale, mentre vengono rinviati i processi con molti testimoni. In corte d’appello viene fissata un’udienza all’ora e anche le cancellerie lavorano in smart working". Ma se in molti accusano il colpo per questo stop, c’è anche qualcuno che non si lamenta. "Ci sono colleghi – prosegue il legale – che sono riusciti a mettersi in pari con il lavoro arretrato, hanno potuto a dedicare dei momenti a se stessi anche se di fatto si lavora più di prima, perché si è senza confini tra lavoro e vita".