Cesena tra passioni politiche, liti e massacri

L’episodio più cruento nel 1846 quando una sfida tra ‘caldi’ e ‘freddi’ fece temere un tumulto. E le guardie svizzere spararono sulla folla

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di Gabriele Papi

14 luglio 1846. In città sarà un giorno di fuoco, non solo per il caldo, ma per una sparatoria con morti in pieno centro: il più grave episodio della Cesena risorgimentale. Teatro di quel sanguinoso fatto piazzale San Francesco, oggi piazza Bufalini davanti la biblioteca. Lì, nello spiazzo ricavata dall’abbattimento dell’antica chiesa di San Francesco, un centinaio di giovani, detti allora i ‘freddi’ attendeva, armi in pugno, l’altra frazione, quella dei ‘caldi’ per un regolamento di conti dopo una sequenza di pistolettate nella notte, affronti e insulti reciproci (della serie ‘vigliacchi’, ‘ladri’, ‘bròta faza’, brutta faccia, cioè persona indegna).

Le due fazioni rappresentavano le due anime del nascente movimento liberale cesenati: i cosiddetti ‘freddi’ perché moderati come azione politica pubblica, i ‘caldi’, invece, erano radicali, più arrembanti. Scenario storico: Cesena era ancora sotto il dominio pontificio, la cosiddetta Romagna papalina. In quel anno l’elezione del nuovo Pontefice, Pio IX, legato alla Romagna, aveva fatto sperare in un papato riformatore, dopo i Papa Re del passato. Erano quindi rifiorite le lotte politiche in città dei liberali, dei primi mazziniani: con conseguenti divisioni circa il da farsi.

Anche in questo caso -avvertenza ai lettori- le vicende politiche di allora non vanno lette con gli occhiali di oggi. In quel tempo la politica era ancora un crogiolo dove si mescolavano sentimenti da setta carbonara, nuove tensioni ideali, ma anche rivalse e vendette personali, con un un forte senso di affiliazione al proprio clan: l’offesa a un membro della fazione era un’ingiuria all’intero clan.

In ogni caso quella pubblica sfida sul piazzale di San Francesco sembrava svolgersi più sul piano delle intenzioni, dei cori solo sfottenti. Finche accadde il patatrac. All’imbrunire apparve nei pressi del piazzale un convoglio militare che scortava un carico di polvere da sparo (merce ricercatissima dai contrabbandieri). Lasciamo la parola al cronista del tempo, Matteo Mariani, che abitava poco lontano: "l’ufficiale militare, vedendo un attruppamento di uomini armati e preso forse da un falso zelo nel timore che gli portassero via la polvere pirica (o da motivi di provocazione che non si conoscono) ordinò alla sua truppa di far fuoco sui paesani".

La scarica delle guardie svizzere fece un macello: un giovane sarto cesenate rimase esanime, diversi altri restarono feriti anche in modo grave. Nella notte giunsero in forze truppe mercenarie papaline: si temevano tumulti a Cesena che tuttavia si chiuse nel lutto cittadino, rispettando il dolore delle numerose famiglie colpite nei loro cari.

Pio IX, per stemperare le tensioni della bollente Romagna, concesse l’amnistia per i reati politici: la notizia giunge a Cesena il 21 luglio, consente a diversi cesenati in galera perché accusati di ordire contro il papa di tornare a casa, tra il giubilo della città.

Sempre in quei giorni, Il tenente colonello che aveva dato, sconsideratamente, l’ordine di aprire il fuoco sui cesenati era stato spostato a Forlì dove, mentre assisteva a un concerto, fu freddato da un colpo a bruciapelo sparato da un ‘tromboncino’, arma con il calcio pieghevole che poteva essere celata sotto la giacca.