"Codice rosso, arma contro i persecutori"

Flavia Vitale, commissario di polizia: "Nessuna donna viene lasciata sola, ma la prevenzione è il momento decisivo"

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di Elide Giordani

La violenza di genere è una questione culturale, di rigidità dei ruoli, di sopraffazione mutuata dalla cultura. Di incapacità di alcune donne di denunciare e sfuggire alla violenza di cui sono vittime. Ed è qui che entrano in gioco le forze dell’ordine. "Nessuna donna che denunci viene lasciata sola" dice Flavia Vitale, donna e poliziotta, da qualche mese commissario di polizia a Cesena.

Dottoressa Vitale, quali sono gli obiettivi della polizia nei confronti di questa piaga sociale?

"Operiamo nella repressione e nella prevenzione. In merito a quest’ultima il nostro impegno va in direzione della sensibilizzazione delle donne. Occorre aiutarle a capire quando si trovano all’interno di una relazione tossica. Capita a donne che non abbiano una indipendenza economica, che abbiano rinunciato ad avere relazioni con l’esterno e nell’isolamento è più difficile rendersi conto della negatività di certi atteggiamenti che possono sfociare in violenza fisica ma anche psicologica. Che è la più subdola poiché è più difficile da riconoscere e viene accettata pensando che sia un normale registro relazionale".

Perché i casi di violenza sulle donne anziché diminuire aumentano?

"Credo sia il risultato di una maggiore attenzione al fenomeno, a sua volta frutto della sensibilizzazione delle istituzioni e delle donne stesse più portate a denunciare. E’ difficile stabilire se ci sia anche una maggiore tendenza da parte degli uomini a non accettare determinate condotte da parte delle donne. Comportamenti che prima finivano totalmente inabissati all’interno delle famiglie".

Gli uomini violenti o manipolatori sembrano non temere le misure, anche severe, che potrebbero colpirli.

"In realtà quando parte la macchina che sta alla base del cosiddetto Codice Rosso, le misure vengono applicate, anche se non sono immediate poiché, come nel caso dell’allontanamento, implicano una restrizione della libertà. E’ chiaro che ci devono essere dei presupposti di pericolosità perché il giudice applichi la misura".

Avete avuto casi concreti nella nostra realtà?

"Sì. C’è stato un caso di Codice Rosso in cui, insieme alla procura, siamo riusciti ad applicare il divieto di avvicinamento ed è stato bello poterlo comunicare alla persona offesa che è venuta a ringraziarci. Sono tante le persone che riusciamo ad aiutare e ad ascoltare".

Capita spesso, in casi di femminicidio, che la vittima avesse denunciato senza tuttavia essere protetta dal proprio aguzzino.

"Succede nei casi in cui non ci sia stata una effettiva denuncia. Noi attenzioniamo moltissimo il fenomeno, abbiamo un ufficio preposto con quattro operatori dedicati e uno scambio continuo con le istituzioni e l’ospedale, veicolo importante di notizie".

Purtroppo non c’è solo la violenza domestica. Le donne finiscono spesso prede di gruppi e di aggressioni in strada.

"Questo dimostra come il fenomeno abbia una radice culturale. Deve iniziare una nuova forma di cultura che parta dai nostri figli che non sottovaluti alcuna condotta poiché anche una palpeggiata può lasciare ferite".

Pensa che ci siano luoghi a rischio che le donne dovrebbero evitare?

"Voglio pensare che non sia così. Le donne dovrebbero sentirsi libere e sicure in qualunque contesto e in situazione di sicurezza generalizzata".

E’ utile dedicare ogni 25 novembre al tema della violenza di genere?

"Fa capire quanto il fenomeno abbia rilevanza sociale. Anche noi saremo impegnati in questa sensibilizzazione per far capire che certe condotte non sono normali. Non siamo una istituzione lontana dalla gente".

Aiuta essere donna in questo suo specifico compito?

"Aiuta tantissimo. Io cerco sempre di essere presente quando ascoltiamo donne che vengano a cercare aiuto. I colleghi sono esperti e disponibili ma avere una donna dall’altra parte le rende maggiormente comprese".