Cooperative sociali, dipendenti in fuga

Un educatore: "Paga poco superiore ai mille euro al mese, la motivazione non basta". E i dirigenti confermano: "Tante posizioni aperte"

Migration

di Luca Ravaglia

"Quello che non manca sono l’entusiasmo, la passione e la soddisfazione di svolgere un lavoro che può cambiare in meglio la vita di altre persone. E questo è davvero tanto: è il motivo per cui ho studiato a lungo, mi sono formato e ogni mattina mi rimbocco le maniche. Purtroppo però non c’è solo questo e guardano negli occhi i miei colleghi, mi accorgo che troppi problemi, a partire dalla questione salariale legata al contratto di lavoro nazionale, vengono messi da parte. E così succede che sempre più persone si fermano, fanno un passo indietro e se ne vanno".

Comincia così la considerazione di un quarantenne cesenate che da anni lavora come educatore nel mondo delle cooperative sociali e che in un periodo in cui il tema della mancanza di manodopera è attuale in tantissimi settori, sposta l’attenzione su un comparto spesso sottovalutato. "Partiamo da una paga base di poco superiore ai mille euro al mese, che viene riconosciuta a persone che hanno alle spalle una laurea e una specializzazione, che lavorano in contesti delicatissimi, a contatto con minori o adulti in condizioni di difficoltà sotto i più svariati punti di vista e che ogni giorno si trovano davanti a grandi responsabilità. E’ uno stimolo enorme, personalmente adoro il mio lavoro e vedere i sorrisi di chi ho vicino mi ripaga di tanti sacrifici. Ma da solo non può bastare. Perché l’impegno, la dedizione e la professionalità meritano di essere riconosciuti, altrimenti questo mondo, sempre più importante nella realtà di oggi, si troverà senza più persone disposte ad avvicinarcisi".

I racconti sono quelli di giovani che provano l’esperienza e poco dopo salutano, a volte costretti a fare i conti coi conti i da far quadrare, altre col contesto del lavoro quotidiano, dove niente è mai scontato. "Il problema è evidente e molto serio – commenta Alfio Fiori, direttore della coop Ccils di Cesenatico – E’ vero che per fortuna tante persone hanno una forte passione per questo modo e io stesso non potrei trovare settore migliore al quale dedicare il mio impegno, ma solo con gli ideali non si va da nessuna parte. Soprattutto ora, con l’inflazione che galoppa e una busta paga che parte da 1.100 euro al mese. Il problema è a monte, tra le pieghe di un contratto nazionale che riguardo a questa categoria, e non solo a questa, è decisamente inadeguato. E’ importante precisare che per quello che riguarda il comparto specifico, il tema del lavoro nero non esiste, ma resta il fatto che l’offerta è alta e la domanda di chi è disposto ad avvicinarsi a queste condizioni è bassa. Lo vediamo noi stessi con tutte le svariate posizioni che abbiamo aperte, dai contratti stagionali a quelli a tempo indeterminato". Rilancia Renata Mantovani presidente della cooperativa Cad: "Il fronte economico non è l’unico, tanto che a volte ci capita di fare i conti con persone che rinunciano al lavoro accettandone altri meno pagati perché si trovano in difficoltà nel contesto in cui operano. Che sì, può essere meraviglioso e ricchissimo di soddisfazioni, ma che allo stesso tempo non è certo facile. La responsabilità è tanta, perché si ha a che fare coi bisogni umani e lavorare immersi nella fragilità delle persone è tutt’altro che semplice. Le richieste della società stanno aumentando a dismisura e serve dare delle risposte, considerando anche il fatto che i libri e la formazione teorica sono importanti, ma poi quando un neolaureato entra in questo mondo, spesso si trova davanti a una realtà che non riesce a gestire. Non è affatto una colpa, è semplicemente un dato di fatto. Passando invece al fronte economico, il tema della defiscalizzazione - che ovviamente deve essere discussa a Roma – può essere un importante aspetto: dal mio punto di vista un paese civile che non riconosce il giusto ruolo al settore sociale, di civile ha ben poco".