Coronavirus Cesena, giovani medici in trincea. "Non abbiamo paura"

Tanti forlivesi e cesenati hanno risposto all’appello della Protezione civile per entrare nella task force da inviare nelle zone più colpite dal contagio

Un medico (foto d'archivio)

Un medico (foto d'archivio)

Cesena, 23 marzo 2020 - "Non abbiamo paura, siamo medici. È nei momenti di estrema difficoltà che siamo chiamati a offrire il nostro tempo, il nostro impegno. Le persone hanno bisogno di noi". È una voce sola e potente, quella dei giovani medici romagnoli che hanno risposto all’appello lanciato dalla Ausl Romagna poco prima del bando poi emanato, su scala nazionale, dalla Protezione Civile. Un bando-lampo, finalizzato alla creazione di una task force di 300 medici da inviare nelle zone più colpite dal contagio: in poche ore si sono candidati in ottomila, da un capo all’altro del Paese.

"Siamo in maggioranza giovani medici: abbiamo energie ed entusiasmo per rispondere a una sfida così impegnativa. Trovo sia rischioso richiamare i medici in pensione, sono più esposti al contagio rispetto a noi. Mettermi al servizio della comunità mi riempie di orgoglio", asserisce convinto il 28enne cesenate Pietro Barone, finora impegnato come guardia medica. "Stavo studiando per entrare alla Scuola di specializzazione in Anestesia e rianimazione, il mio sogno da sempre", confida. "Ma, in questa situazione, sia io, sia i miei colleghi saremo costretti a mettere in pausa i nostri programmi e obiettivi personali: non importa, ora è l’ultimo dei miei problemi. L’unica soluzione, leggendo il bando Ausl, era partecipare subito". 

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Non si sentono eroi, i ragazzi e le ragazze che si preparano a essere impiegati in prima linea nel contrasto all’epidemia da coronavirus. Dalla prossima settimana, costituiranno le cosiddette Unità speciali territoriali, che assicureranno l’assistenza domiciliare ai pazienti Covid 19 non ospedalizzati perché presentano sintomi lievi o sono ancora nella fase iniziale della malattia. "È dovere di un medico mettere a disposizione le proprie competenze nelle circostanze avverse", ricorda la 29enne forlivese Michela Lorusso. "Stavo frequentando il corso di specializzazione in Medicina generale, ma è stato sospeso all’indomani dello scoppio dell’emergenza sanitaria, lo scorso 23 febbraio. Quando sono venuta a sapere del bando, ho pensato subito di essere la candidata ideale: vivo in appartamento da sola, non rischio di contagiare i miei familiari. Ho tempo a disposizione e non ho paura di ammalarmi, altrimenti non avrei scelto questa professione".

"Questa candidatura non rientra solo nei doveri prescritti dal nostro codice deontologico: è un modo per darci una mano, nonostante il metro di distanza che oggi ci tiene fisicamente lontani l’uno dall’altro. Oggi più che mai, l’imperativo è restare umani", dichiara Ignazio Palazzi, 30 anni, di Mercato Saraceno. "Il virus ci ha messo davanti a una verità insopportabile, che finora ci ostinavamo a ignorare: che la vita è fragile e che tutti gli esseri umani sono uguali. La malattia non fa differenze di censo o provenienza sociale: tocca tutti con la stessa violenza. Per questo mi auguro che l’epidemia faccia da volano per un cambiamento radicale, nella scala di priorità e nei valori che, d’ora in poi, guideranno le nostre esistenze".