Da sarto a imprenditore della moda

La storia di Ivo Dalmo, nato 83 anni fa a Savignano sul Rubicone, sarà presto raccontata in un libro realizzato dalla nipote

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di Ermanno Pasolini

Da figlio di contadini a industriale. E’ la storia, che diventerà un libro grazie alla nipote Carlotta, di Ivo Dalmo, 83 anni, di Savignano sul Rubicone, nato al confine con Santarcangelo in una casa di contadini dove oggi c’è la pizzeria ’Qui si pizza’. Terzo di quattro fratelli, figli di Agostino e Santa, Ivo Dalmo frequenta le scuole elementari e poi si ferma.

Al tempo del fronte lei aveva cinque anni. Ricorda qualcosa?

"Tanti episodi. I primi furono i più cruenti, perchè ci sono stati molti bombardamenti. Prima passavano piccoli aerei degli americani che gettavano foglietti dove spiegavano di avere la massima attenzione per le mine, con disegni di oggetti da non raccogliere, perchè esplosivi. Nel settembre 1944 invece vedevamo passare aerei diversi che bombardavano i treni tedeschi fermi alla stazione di Savignano, a 300 metri dal rifugio di casa nostra. Treni stipati di oggetti di valore diretti in Germania e si diceva che la gente spesso di notte andasse fra i vagoni deragliati a fare man bassa di oggetti preziosi".

Perchè interruppe la scuola? "Finita la guerra mio babbo cominciò a riparare la nostra casa dai danni di guerra e poi iniziò a fare il muratore e la mamma la contadina. Prese con lui mio fratello più grande Gino e lo portò a fare il muratore a Rimini. Partivano con due biciclette malandate alla mattina e tornavano la sera e nella borsa c’erano i panini della mamma per il pranzo. A casa nostra non si è mai sofferta la fame, anche se spesso si mangiava piadina e radicchi. Dopo la quinta elementare la mamma mi accompagnò dal sarto Dante Francisconi chiedendogli se poteva lasciarmi da lui perchè dicesse se ero capace di fare quel mestiere".

Il risultato?

"Grazie anche alla bontà di Dante Francisconi piano piano imparai a fare il sarto. Andavo in bicicletta da Savignano e portavo i vestiti finiti a Cesena, collocati sul manubrio".

Quando iniziò la carriera di imprenditore dell’abbigliamento?

"Negli anni ‘60 proprio con Dante Francisconi decidemmo di cominciare a produrre pantaloni da uomo da vendere come moda pronta. Piano piano il lavoro si allargò non solo in Italia, ma anche all’estero, con macchine industriali all’avanguardia. Un’azienda che è durata fino ai primi anni ‘90 quando arrivò la crisi nel settore moda e tutti furono costretti a delocalizzare la produzione all’estero. Noi preferimmo chiudere".

Lei però ha avuto altri interessi in diverse attività...

"Fin da giovane sono stato sempre attratto dalle novità, caffè, televisione, biliardini. Cose mai viste prima. Un giorno rimasi affascinato da alcune persone che mangiavano sotto il porticato del Bar Bianchi, fuori da una stanza, con la mitica Lisetta che li serviva. E ho pensato che un giorno quella che era la ’Locanda Dell’Angelo’, un giorno diventasse mia. Ma i soldi non c’erano e ho dovuto aspettare fino agli anni ‘70 e oggi non è più trattoria, ma bar con locanda come nei secoli scorsi".

Come imprenditore ha realizzato altre cose?

"Sulla Riviera nel settore alberghiero. A Savignano nel quartiere Cesare ho realizzato la sede del cento riabilitativo Alcade. Poi negli anni ‘70 sono stato uno dei fondatori del Seven Sporting Club. Tutto questo grazie alla mia famiglia, a mia moglie Iolanda, ai miei figli Giovanni, Marco e Simona e ai miei sette nipoti".