Dante Alighieri: "Romagnoli bastardi"

Il poeta, che pure trovò rifugio nella nostra terra, non aveva una gran considerazione per gli abitanti della Romagna

La lapide con la celebre terzina dantesca nel muro della Rocca di Cesena

La lapide con la celebre terzina dantesca nel muro della Rocca di Cesena

Cesena, 29 novembre 2020 - Romagnoli bastardi. Anzi, per precisione: ‘Oh Romagnuoli tornati si bastardi…’ (Divina Commedia, Purgatorio, canto XIV, v. 99). Ci definisce così il sommo Dante Alighieri del quale l’anno prossimo sarà celebrato il 700°, con fior di iniziative anche in Romagna.

Non adontiamoci troppo del rimprovero riservatoci. Dante aveva un brutto carattere, come tutte le persone di carattere: ben altre rampogne riserva ad altre città e genti, basti pensare a Pisa ‘vituperio delle genti’ e a illustri potenti, prelati compresi, additati quali repertorio dei vizi italici, di ieri (e di oggi). Come non ripensare ai suoi famosi versi: ’Ahi, serva Italia, di dolore ostello… non donna di provincia, ma bordello’ (Purgatorio, VI, v. 76-78). In ogni caso potrà tornare utile quale balsamo per la nostra mente, soprattutto in questi nostri giorni di semi- clausura causa virus, tornare a rileggere, a spiluccare la ‘Commedia’, capolavoro che il mondo ci invidia. Dante non è mai pedante, con buona pace dei polverosi ricordi e pregiudizi scolastici.

Dobbiamo inoltre all’Alighieri una delle rare citazioni storiche di Cesena: ‘ E quella cu’ il Savio bagna il fianco,/ così com’ella sie’ tra ‘l piano e ‘l monte/ tra tirannia si vive e stato franco’ (Inferno, XXVII, 51-54). Quel ventisettesimo canto dell’Inferno è meglio di un film storico, protagonista la malferma condizione politica della Romagna e delle sue città nel Trecento. Dante incontra l’anima fiammeggiante di Guido da Montefeltro, ghibellino, mastino della guerra ed è lo stesso poeta a tratteggiare la situazione romagnola ‘Romagna tua non è, e non fu mai, sanza guerra ne’ cuor dei suoi tiranni’. Questa dettagliata conoscenza da parte di Dante delle tematiche politiche romagnole non deve stupire, come ci spiegarono a suo tempo i buoni professori del liceo (ma sappiamo che di bravi insegnanti ce ne sono ancora parecchi): i comuni toscani e Firenze, in particolare, seguivano con grande attenzione l’evoluzione dell’inquieta realtà romagnola, non solo per motivi geo politici, ma anche per motivi economici.

La Romagna era più povera della Toscana ma aveva una ricchezza che Firenze le invidiava: il sale delle saline di Cervia, ‘l’oro bianco’, il petrolio di allora; possedere le saline era come avere una banca. E’ quella Romagna che Dante, bandito da Firenze per il prevalere della fazione a lui avversa, avrà poi modo di conoscere da vicino, avendovi trovato ospitalità nel suo esilio grazie alla protezione di Guido Da Polenta. Tornando al sale romagnolo. Il sale fa capolino in un’altra terzina dantesca divenuta poi proverbiale: ‘Tu proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui e com’è duro calle/ lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale’ (Paradiso, XVII, v.58- 60). Chissà: forse il sale di questa allegoria non è soltanto l’amarezza dell’esule, ma nella rima e nel sapore del pane romagnolo, diverso dal pane toscano che era ed è mancante di sale. Rileggere i classici dà sempre gusto perché ci fa scoprire aspetti inaspettati. E poi, alla fin fine, il problema non è se i classici della nostra letteratura siano attu ali: semmai è se noi siamo abbastanza attuali rispetto ai nostri classici. Cosi è, se vi pare.