E dal Savio emerse un cadavere fatto a pezzi

Un fatto di sangue narrato dal cronista Matteo Mariani nel 1817. Le indagini si indirizzarono nel sobborgo di Porta Fiume

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di Gabriele Papi

Arrivano i primi caldi. Il tempo giusto per un racconto del brivido. Orrore a Cesena: accadde nell’anno del Signore 1817, proprio in questi giorni di maggio. Il fiume Savio restituiva a puntate pezzi di cadavere orrendamente smembrato: nei nostri fiumi mica ci sono squali o “piranha” carnivori. Un fattaccio di sangue raccapricciante, indagini serrate fino alla sconcertante scoperta dell’assassino. Riprendiamo questa cronaca criminale da un cronista - reporter del nostro passato, Matteo Mariani, studi da seminarista poi cuoco e sovrintendente di Casa Masini, ove tirava aria di fronda liberale. Anche per questo il ‘taglio’ delle cronache di Mariani (i manoscritti originali sono conservati e consultabili nella nostra Biblioteca Malatestiana) è diverso, più moderno di quello di altri cronisti cesenati del tempo, fin troppo sussiegosi, e anche pallosi, nei resoconti cittadini soprattutto incentrati sulla nobiltà e gli ecclesiastici locali. E dunque: un giorno, racconta il nostro Mariani, due giovani trovano sulle riva del Savio a fianco della città uno strano involto, con ‘dentro la metà di un corpo umano senza testa, tagliato alla fine delle coste (costole), per cui si vedeva il fegato e il polmone, ma non si poteva riconoscere se fosse un uomo o donna’. Il macabro rinvenimento corre subito di bocca in bocca.

La Cesena di allora è una piccola cittadina, gran parte dei cesenati è ancora analfabeta. Tuttavia è cronaca antica : ‘una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale come una freccia dall’arco scocca vola veloce di bocca in bocca’ (Fabrizio De Andrè, Bocca di rosa).Cominciava il mistero del cadavere del fiume Savio: un cesenate, un vagabondo, una vagabonda, chi? Intermezzo: oggi, su simili e atroci vicende si scatenano alluvioni di morbose trasmissioni televisive, su tutti i canali e in tutte le salse. Il sangue degli altri, spesso, è una ghiottoneria: dimenticando che è la banalità del male la matrigna dei crimini. Torniamo al nostro reportage storico. Una settimana dopo il rinvenimento dei primi resti umani, il fiume restituisce un altro pezzo: un sacco cucito che ‘molto puzzava’, contenente ‘la panza (la pancia) e le cosce’”: la vittima è una donna. Le indagini della polizia del tempo già avviate si concentrano nei sobborghi cittadini, Porta Fiume e non solo. C’è qualche popolana che manca all’appello, che è scomparsa? Indagini non facili: la gente dei sobborghi detesta gli sbirri. Finchè arriva la pista giusta: dov’è finita la moglie di tal Domenico Ricchi, perché non la si vede più in giro? Gli sbirri vanno a colpo sicuro: una perquisizione nella casa ( o per meglio dire nel tugurio) del Ricchi rivela parecchie ‘cose sparse di sangue’ e una ‘corda saponata’, cioè intrisa di sostanze muschiose. Non c’è neanche bisogno dei metodi allora molto rudi dell’interrogatorio perché l’assassino confessi. E’ stato lui: dopo aver fatta ubriacare la moglie l’ha uccisa, ha tagliato a pezzi il suo cadavere e se ne è disfatto, nottetempo, lungo le acque del fiume. Perché? Per vendicarsi: ‘mia moglie- confessa Ricchi- era di spirito (di carattere) e di maggior forza di me, e molte volte mi ha bastonato. Povera vittima, povero assassino.