
A sinistra l’ex direttore sportivo Rino Foschi, uno degli undici imputati del processo per il crac, a colloquio con il suo difensore Mattia Grassani
Chi ha fatto fallire l’Associazione Calcio Cesena? Non certamente gli undici imputati a giudizio nel processo iniziato due anni e mezzo fa, a sentire i difensori che hanno riempito le ultime due udienze, quella di martedì 26 giugno e quella di ieri. In effetti i principali imputati (gli ex presidenti Igor Campedelli e Giorgio Lugaresi) sono già usciti di scena evitando il carcere avendo utilizzato i riti alternativi previsti dall’ordinamento processuale che prevedono uno sconto di pena: patteggiamento e rito abbreviato.
Ieri, davanti al collegio giudicante del Tribunale di Forlì formato da Marco De Leva (presidente), Giorgia Sartoni e Federico Casalboni, c’è stata l’ultima udienza della discussione, dedicata ai difensori di sei imputati. A prendere la parola per primi sono stati i difensori di Enrico Brunazzi, commercialista cesenate che aveva ricoperto il ruolo di sindaco di Cesena & Co, la cooperativa creata nel 2015 con la funzione di controllante dell’Ac Cesena spa , ma che in realtà serviva principalmente per alleggerire la posizione finanziaria della società calcistica, per esempio accollandosi il pagamento dell’Iva. Per lui il pubblico ministero Francesca Rago ha chiesto la condanna a due anni di reclusione, ma i suoi avvocati difensori Nicola Mazzacuva e Stefano Spinelli (con studio in viale Bovio) sono convinti che non potrà essere condannato poiché il marchingegno per mettere l’Iva a carico della controllante era già stato attuato al momento della sua nomina, e successivamente i soci (sostanzialmente gli stessi dell’Ac Cesena) rinunciarono a un credito di 990.000 euro. "La condotta di Brunazzi - hanno detto in conclusione - non ha causato alcun danno, anzi la situazione è migliorata. La sua unica colpa è stata quella di occupare quella posizione".
L’avvocato Alessandro Sintucci ha parlato in difesa di due imputati: per Graziano Pransani, accusato solo dei reati fiscali, ha avuto gioco facile poiché il pubblico ministero ha chiesto il proscioglimento per intervenuta prescrizione, mentre per l’imprenditore Mauro Giorgini (il pubblico ministero ne ha chiesto la condanna a quattro anni) ha sottolineato che durante la sua permanenza nel consiglio d’amministrazione l’indebitamento fu ridotto di 40 milioni grazie alla promozione in serie A.
La posizione che ha richiesto più tempo per essere trattata è stata quella del direttore sportivo Rino Foschi, per il quale il pubblico ministero ha proposto una condanna a due anni e tre mesi di reclusione per i reati di bancarotta fraudolente e false comunicazioni sociali: in quasi due ore i suoi avvocati difensori Mattia Grassani e Claudio Colletti hanno sottolineato che in 15 operazioni di compravendita da lui gestite in cinque anni con il suo staff (Maurizio Marin e dodici osservatori) furono rispettate tutte le norme federali e furono portati quasi 30 milioni di plusvalenze reali nelle casse dell’Ac Cesena. Per i 21 giovani compravenduti fra Cesena e Chievo per realizzare plusvalenze fittizie da quello che è stato chiamato il ‘settore deviato’ della società, invece, gli avvocati hanno ricordato che Foschi era sempre stato contrario.
Per l’avvocato Christian Dionigi (tre anni e mezzo la richiesta del pubblico ministero) l’avvocato Antonella Monteleone ha impostato la difesa sostenendo che soci e amministratori dell’Ac Cesena si impegnarono personalmente quando scoprirono che l’indebitamento lasciato dalla gestione Campedelli era di 21 milioni, non di 15 come era stato detto. Fra il 2014 e il 2015, quando Dionigi era nel consiglio d’amministrazione, il debito col fisco era aumentato di 4 milioni, ma quello complessivo si era ridotto di 30 milioni. L’avvocato Monteleone ha concluso ricordando che il progetto è fallito quando i soci non hanno potuto apportare nuovi finanziamenti, ma sarebbe ingiusta un condanna motivata solo dall’insuccesso perché nessuno è scappato con la cassa.
Infine l’avvocato Daniele Molinari ha preso la paola in difesa di Claudio Manuzzi, impegnato di banca senza grandi disponibilità economiche, entrato nel consiglio d’amministrazione dell’Associazione Calcio Cesena, ma senza alcun ruolo operativo. Il pm ha chiesto tre anni e nove mesi di reclusione, ma per il suo difensore va assolto. Martedì 15 luglio ci sarà l’ultima udienza con la sentenza.