
Una manifestazione per la liberazione dei prigionieri politici in Venezuela (foto di repertorio); a destra, Giancarlo Spinelli
Cesena, 25 aprile 2025 – I familiari di Giancarlo Spinelli, il 59enne nato a Cesena e detenuto in carcere in Venezuela, sono preoccupati per la sua salute e temono per la sua vita. Ad aggravare l’ansia dei familiari c’è il fatto che da alcuni giorni non hanno più notizie di lui.
Nell’ultimo periodo Giancarlo Spinelli, arrestato il 21 febbraio del 2024 a Caracas per terrorismo, tradimento alla patria, traffico d’armi e associazione a delinquere, ha visto aggravarsi sempre più le sue condizioni di salute. “Giancarlo – dice il cugino cesenate che porta lo stesso nome – è in condizioni molto serie di salute. Ha problemi di intestino, di pressione alta e ha una protesi in una gamba. In carcere non gli hanno permesso di sottoporsi a una visita medica da lui richiesta. Nei penitenziari venezuelani sei trattato come un animale: i detenuti dormono per terra, ammassati. Non so neppure se sia ancora vivo, perché da giorni non ho sue notizie”.
Fonti diplomatiche hanno confermato ieri pomeriggio che Giancarlo Spinelli è vivo ed è ancora detenuto nel carcere Yare III. L’Ambasciata e il Consolato stanno seguendo da vicino la vicenda di Spinelli, pur con estremo riserbo, vista la situazione politica complicata che c’è in Venezuela, dove vige il regime socialista di Nicolàs Maduro.
Le istituzioni sono in stretto contatto con la famiglia e stanno facendo tutto il possibile per proteggere i suoi diritti. Ma le trattative rimangono una delle fasi più difficili. Giancarlo Spinelli a gennaio di quest’anno ha subito un processo in Venezuela e un mese dopo è stato trasferito nel carcere Yare III nello stato del Miranda. Lo scorso anno era stato arrestato e portato al penitenziario Helicoide a Caracas, noto come il più grande centro di tortura dell’America Latina.
“Giancarlo Spinelli viveva con la moglie a Caracas, dove era emigrato da piccolo e dove lavorava come architetto in comune – spiega il cugino cesenate Giancarlo Spinelli -. La sera del 21 febbraio dello scorso anno hanno fatto irruzione nella loro casa le forze speciali venezuelane. Hanno rubato alcune cose (tra cui vestiti e credo una macchina) e hanno arrestato mio cugino. Lui per hobby si divertiva a trasformare e modificare armi. Le accuse mosse nei suoi riguardi sono false. Credo non sia mai stato torturato in carcere, ma le condizioni sono terribili. Un giorno siamo riusciti a fare una videochiamata. Lui era steso in una branda mezza rotta e mi salutava. Mi ringraziava per averlo chiamato e ho potuto solo dirgli: ‘fatti forza’. Dieci secondi appena e la telefonata si è interrotta”.
Ora i familiari hanno incaricato un avvocato a Caracas che sta seguendo il caso. “Un mese fa – continua il cugino – è intervenuto un politico, ma la situazione non si è risolta. Ci hanno detto che se mio cugino avesse pagato una certa somma di denaro avrebbe potuto utilizzare il telefono e magari anche uscire di prigione”. “In Venezuela basta poco per finire in carcere – dice Marinellys Tremamunno, presidente dell’associazione ‘Venezuela, la piccola Venezia’ – basta trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, pubblicare un post critico sui social o inviare un messaggio su whatsapp”.